ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
(Sezione: PRIMA PAGINA    Pag.   1  )
Mercoledì 20 novembre 2002

di VIRMAN CUSENZA

È UN FILM GIÀ VISTO: SOLO SEGNALI DI FUMO


 

SOTTO il dialogo poco o nulla. Il film che va in onda da tre giorni sugli schermi di Montecitorio e Palazzo Madama tradisce una gran voglia di dare la scalata al massiccio dell’irrisolta questione giustizia da parte di entrambi i poli. Ma l’occasione per il colpo di reni offerta dalla condanna di Andreotti o dal controverso arresto dei venti no global non basta. Scarsi sembrano i margini di intesa tra i partiti sui punti concreti, per il solito rito dei sospetti incrociati. A parole, l’ambizioso progetto di tutti — dal presidente del Consiglio che medita sessioni speciali sul pacchetto giustizia, ai Ds che vorrebbero metter mano all’ossatura del processo — è dare un riassetto che compensi le storture della macchina giudiziaria. A divergere sono però gli strumenti con cui ottenere il risultato.

Su un tema come la separazione delle carriere di giudici e pm, per esempio, la distanza resta enorme. Solo due componenti della maggioranza — leggi Forza Italia e Lega — sono pronte. An è contraria e preferisce la strada della più morbida distinzione delle funzioni. Suggestiva ma ancora tutta da perlustrare è l’ipotesi avanzata dal neoministro della Funzione Pubblica, Mazzella, di inserire il pubblico ministero sotto l’ombrello dell’Avvocatura generale dello Stato, evitando così la temuta dipendenza dei pm dal controllo governativo.

Che la strada da percorrere sia piuttosto un’erta salita, del resto, lo dimostra anche il difficoltoso avvio sui provvedimenti di clemenza dopo l’appello urbi et orbi lanciato da Giovanni Paolo II nemmeno una settimana fa davanti al Parlamento tutto. Alla Camera non c’è una maggioranza favorevole all’abbassamento del quorum (dai due terzi previsti oggi alla maggioranza semplice) per i provvedimenti di amnistia e indulto. Il Carroccio si oppone da anni, An non ci sta, i Ds sono cauti, la Margherita contraria. Al massimo, si potrà spuntare un “indultino" che sgravi i penitenziari dal sovraffollamento, lambendo appena il problema dei tanti extracomunitari in cella. Ostacoli in vista anche sul delicato capitolo delle immunità parlamentari che a più riprese, dalla riforma restrittiva del ’93, si è tentato di rivedere. Ma proposte nette come quella dell’azzurro Nitto Palma già dividono addirittura il fronte della stessa Casa delle Libertà, vanificando la sintonia riscontrata sul caso Andreotti.

Non stupisce allora assistere ad un esile gioco di segnali di fumo tra maggioranza e opposizione dopo l'inattesa apertura al dialogo da parte di Fassino. Gli schiaffi di Moretti, i niet del correntone Ds, il secco no della Margherita, i pesanti silenzi degli alleati di Forza Italia (esclusa l’Udc) danno il senso di una missione quasi impossibile. Il banco di prova sarà il pacchetto giustizia del ministro Castelli da tempo arenato al Senato. Salvo che, sotto la discreta regia del Quirinale, non si riesca ad avviare un dibattitto sul più neutro terreno dei meccanismi del processo e della discrezionalità delle Procure.

Nelle ultime ore si è irrobustito un ponte che in molte battaglie sulla giustizia si è rivelato efficace: quello tra An e la Quercia. Due partiti che, da sponde opposte, hanno mostrato un comune sentire (o dissentire con gli alleati) in materia giudiziaria. Sia sulle sabbie mobili dei giudizi su Tangentopoli, sia sul terreno delicato della certezza delle pene e delle sanzioni. Insomma, non è un caso che il capogruppo ds, Luciano Violante, e per An il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, diano una lettura non divergente sulla stessa materia. Tradendo massima cautela. Segnali più vistosi non ne mancano. E, forse, ne avremo un assaggio stasera nel salotto di Vespa dove è atteso il confronto tra Gianfranco Fini e lo stesso Violante: duellanti che hanno sempre mantenuto un efficace filo di comunicazione anche durante le più complicate tempeste politiche. Certo è azzardato parlare di “asse", come quello che nella Bicamerale contribuì a far saltare il banco proprio sulla controversa bozza Boato sulla giustizia. Ma i reciproci interessi e l’attenzione al rispettivo elettorato fanno di Quercia e An i due principali guardiani sugli stretti confini del dialogo.


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