ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO Domenica 6 gennaio 2002

di MARIO COFFARO

«Unità mobili per le emergenze»
Mantovano: serve maggiore flessibilità d’impiego degli uomini


ROMA - Sottosegretario Mantovano, cos’è il nuovo piano anticrimine?
«Il progetto in corso, molto importante, riguarda la revisione dei presidi di polizia. Gli organici e i riferimenti logistici sul territorio nazionale sono vecchi di decenni. Nel frattempo non è cambiata soltanto la criminalità sul territorio, ma anche la mentalità, il modo di affrontare l’offensiva del crimine. Ciò richiede una revisione di questi presidi. Immaginiamo quattro comuni vicini, in una zona pianeggiante, in ciascuno dei quali ci sia una stazione con sei o sette carabinieri. Fatta la somma non ci saranno in servizio anticrimine più di due unità per stazione, perché gli altri servono per fare il piantone, l’amministrazione, c’è il turno di ferie e così via. Se la situazione territoriale lo consente, invece, un’unica stazione che serva quei quattro comuni con 24 unità consente di avere sul territorio non 8 ma almeno 17-18 unità perché quegli stessi servizi amministrativi possono essere accorpati e svolti con un’economia di mezzi e persone».

La criminalità, però, si adegua in fretta e si sposta dove c’è meno sorveglianza?
«Per questo vanno prese in considerazione idee come le unità mobili, che sono intervenute nell’opera di individuazione dei responsabili delle rapine alle ville nel Nord est. Ogni tanto si manifesta una concentrazione di un tipo di delinquenza in una zona specifica. Questa zona, magari, normalmente non richiede una straordinaria presenza di unità di polizia per cui a fronte di quella emergenza prevedere un mutamento di organico può rivelarsi sproporzionato. Però, in quel momento, può essere necessario una presenza più massiccia di unità di polizia, specializzata per quel tipo di emergenza. Quando il problema si risolve, senza smantellare i presidi di prevenzione, non c’è ragione di non utilizzare quegli uomini in altre zone».

C’è sempre un problema di coordinamento?
«Il coordinamento già c’è ma deve funzionare sempre meglio».

Che vuol dire eliminare la prostituzione e la droga dalle strade?
«Oggi il problema della prostituzione non è solo quello dello spettacolo indecente sulle strade. Si pensi a quanti minori, uomini e donne, vengono trascinati spesso con l’immigrazione illegale in Italia da Paesi dell’Est, dall’Africa. Gettati in strada sono sfruttati come merce. Il problema è complesso. Per risolverlo occorre agire su più livelli. Uno è la repressione e il contrasto delle organizzazioni criminali, spesso responsabili di riduzione in schiavitù di bambini e bambine».

Si vuole colpire anche i clienti?
«Ci sono già leggi severe e adeguate per punire chi va con i minori al di sotto dei 14 anni, perché commette una violenza carnale. Sopra i 14 anni potrebbe profilarsi qualche altro reato: comunque difficile immaginare che i clienti della prostituzione possano dormire sonni tranquilli. A volte con una verifica di documenti si scoraggiano certi clienti. C’è anche un’attività delle associazioni di volontariato (don Oreste Benzi, don Cesare Lodeserto) che fornisce, accanto alle indagini di polizia, un’opera non meno importante di recupero delle persone sfruttate».

Combattere la droga è più difficile?
«La legge attuale, buona prima del referendum del ’93, oggi è squilibrata. È lassista verso chi si avvicina alla droga. Eliminato il limite della dose media giornaliera, oggi chi acquista droga può detenerla senza limiti se non c’è prova di spaccio. Verso i tossicodipendenti che sono alla fine del tunnel, invece, la legge si mostra eccessivamente rigorista. I tossicodipendenti spesso compiono reati; arrestati scelgono un percorso di recupero in comunità. Quando uno torna una persona normale arriva la condanna e deve rientrare in carcere. Occorrono norme più elastiche per non disperdere la dimensione della solidarietà. Nel ’97 presentai una proposta di legge in questo senso che fu firmata da 106 parlamentari, tra cui Scajola, Alemanno, Fini. Potrebbe essere ripresa».

La distribuzione controllata?
«Non ne parliamo neanche. È fuori da ogni agenda di questo governo. Forse era in quella della precedente maggioranza».

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