ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO (Sezione: Interni Pag. ) |
Giovedì 8 Maggio 2003 |
di CARLO FUSI IL RETROSCENA Fini si schiera: il governo non lo cambiano i giudici
ROMA — All’ora di pranzo, arrivano in via della Scrofa alla spicciolata i capi corrente di An. Ci sono i due capigruppo ala Camera, Ignazio La Russa, e al Senato, Domenico Nania; i ministri Altero Matteoli e Maurizio Gasparri; il portavoce Mario Landolfi; il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano; il presidente della regione Lazio Francesco Storace. Gianfranco Fini è già lì, per un vertice che deve segnare la posizione della destra sul delicato tema della giustizia dopo le bordate di Silvio Berlusconi al processo Sme. E proprio il vicepremier spiega subito che non ci possono essere tentennamenti o ritrosie: An si schiera a fianco del capo del governo perché la posta in gioco «è la coalizione nel suo insieme». Ai sette seduti attorno al tavolo nella stanza della presidenza del partito, Fini spiega come stanno le cose: «Bisogna partire da una nuova analisi dei rapporti tra politica e magistratura. Non si può più parlare di collateralismo tra frange di giudici e politici. Oggi caso mai si assiste ad una sorta di volontà di supplenza: c’è un tentativo da parte di ampi settori della magistratura di condizionare la politica. Con un indirizzo esplicito: non più sanzionare i singoli illeciti ma esercitare una volontà di controllo e di pressione sulla politica. Com’è evidente si tratta di una partita cruciale, che va oltre il processo a Berlusconi». Nessuno fiata nella stanza. La consapevolezza che An imbocca una strada nuova e, a giudizio del leader, obbligata, è comune. Fini prosegue: «la transizione è finita, Tangentopoli non c’è più. Nessuno può pensare di mettere in discussione con teoremi giudiziari il voto dei cittadini. La politica passa per gli elettori, chi pensa di cambiare i governi con iniziative giudiziarie sbaglia i suoi calcoli». Non è l’inizio di uno scontro tra An e le toghe, la questione è di natura tutta politica: il premier non può essere rovesciato per via giudiziaria; la prima regola democratica è che governa chi ha ottenuto i voti dalla maggioranza del Paese. I capi corrente capiscono. E approvano. Stare dalla parte di Berlusconi non è solo un semplice dovere di solidarietà di coalizione: in ballo c’è molto di più, c’è che settori «non minimali» della magistratura mirano a controllare la politica nel suo insieme, e questo è inaccettabile. An la sua scelta l’ha fatta con nettezza. Certo, poi ci sono le questioni specifiche, tipo lodo Maccanico o immunità. Sul primo il via libera è totale: serve a colmare un vuoto politico-giuridico ed è utile a rasserenare il clima. Varrà per le alte cariche istituzionali ma non per i ministri. Maggiore cautela, invece, per quel che concerne l’immunità. An non chiude la porta ad un provvedimento volto a salvaguardare l’indipendenza e l’autonomia del Parlamento inteso come istituzione e sede della sovranità popolare. Ma dovrà trattarsi di una norma nuova, da approvare con il procedimento costituzionale della doppia lettura da parte di Camera e Senato. In nessun caso dovrà essere la semplice ed automatica riproposizione dello scudo abolito nel 1993. In quel caso infatti il rischio sarebbe di creare i presupposti per una impunità che la gente non capirebbe. Quella di destra in primis. La riunione è finita. Il concetto è chiaro: An sta dalla parte di Berlusconi nella sua battaglia sulla giustizia. Anche perché lo sanno tutti che se cade lui trascinerà con sè l’intera coalizione di centro-destra. E’ una impostazione che sarà vagliata nel corso della prossima campagna elettorale amministrativa ma è evidente che avrà una valenza destinata ad andare molto al di là del voto di fine mese. Una valenza, insomma, destinata a segnare la legislatura.
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