ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su IL MESSAGGERO
(Sezione:        Pag.     )
Domenica 3 Luglio 2005

di BARBARA JERKOV

  

 Alemanno raccoglie il 30 % di consensi. Fallisce


 

ROMA - Niente accordo, Alemanno e Storace vanno allo scontro con Fini. Una riunione notturna di Destra sociale ha sancito il no a qualsiasi ipotesi di mediazione con il leader. Oggi dunque la componente che fa capo ai due ministri (il 30% circa dell’assemblea) voterà contro la relazione pronunciata ieri dal presidente del partito, e sulla quale Fini ha posto una vera e propria questione di fiducia. Risultato: Alemanno e Storace si accingono a dar vita alla prima opposizione interna dell’era Fini da qui alle elezioni politiche, pronti, è chiaro, in caso di sconfitta elettorale, a presentarsi come classe dirigente di ricambio.

Il fatto è che la relazione di Fini ha avuto sulla platea aennina l’effetto di un pugno allo stomaco. Nessuna apertura alle richieste delle correnti, zero autocritica, anzi. Adesso, annuncia all’ora di pranzo Alemanno, tutto dipende dalla replica. Perché in mancanza di nuovi segnali, i firmatari del documento politico messo a punto con Mantovano (sono un terzo dell’assemblea) potrebbero votare contro. Destra protagonista si dice pronta a fare lo stesso. L’accoglienza gelida al discorso di Fini, applaudito solo da pochi fedelissimi, tutti concentrati nella prima fila della sala, testimonia che il rischio è assolutamente reale. I vertici della Destra sociale prendono la parola uno dietro l’altro a metà pomeriggio. E il j’accuse è spietato.

«An sta attraversando uno dei suoi momenti più drammatici», attacca Alemanno, «e se ci troviamo in queste difficoltà non è colpa delle correnti, c’è un problema politico». Denuncia la mancanza di «regole» e di «progetto», il ministro, chiedendo primarie nella Cdl e dichiarando del tutto «insufficiente» la relazione di Fini. Briguglio sollecita il leader a dare «una risposta adeguata al pericolo di scisma politico e della componente cattolica di An che a Fiuggi contribuì alla nascita del partito». Storace è il più duro di tutti, però.

«Non ci sto più», esordisce l’ex governatore guardando dritto Fini, «che là ci sono quelli che portano i guai e tu sei l'unico salvatore». Applausi. «Ogni volta che ci hai chiesto di andare a tappare qualche buco, siamo stati tutti ai remi. Non è più tempo di credere, obbedire e combattere, vogliamo vogliamo dire la nostra». Altri applausi, qualcuno grida ”bravo, sììì”. «Noi non siamo una metastasi e certo Matteoli non mi sembra il professor Di Bella». Risate. Ancora rivolgendosi direttamente al leader: «Voglio capire se tu vuoi la rottura o l'unità». Fini sbotta: «Cazzo! Ho fatto l'appello all'unità venti volte». Storace non arretra. «Se alla fine mi troverò in una posizione tragicamente diversa dalla tua», annuncia, «non resterò al governo un minuto di più. Il tempo di far approvare il decreto sui farmaci e me ne vado». Anche a Gasparri non è andata giù quella faccenda delle metastasi. «Le correnti non sono un tumore», avverte dalla tribuna, «così come Matteoli non è l’angelo sterminatore. Fini ha chiesto la fiducia all'assemblea, ma occorre che anche lui abbia più fiducia in se stesso perché è il leader di una grande comunità e non di un peso morto». Solo Urso, Consolo e pochi altri si schierano a difesa del leader.

In 280 (su 360 presenti) firmano un ordine del giorno congiunto Destra sociale-Destra protagonista. Voteranno la fiducia a Fini, accettando Matteoli responsabile organizzativo, ma Fini nella sua replica deve recepire una serie di punti politici dei documenti di entrambe le componenti, a cominciare dal ruolo della direzione nazionale come organo sovrano per decidere programmi e candidature. La Russa media, sembra fatta. Fini però pretende di riscrivere radicalmente l’ordine del giorno, ribadendo il concetto della libertà di coscienza sui referendum. Se le cose stanno così, Destra sociale non ci sta più. E nella notte salta tutto. Alemanno riunisce la componente. La linea dura prevale all’unanimità, anche se c’è pressing sull’ex governatore perché riununci all’idea delle dimissioni da ministro. «Il governo», detta Alemanno, «è un conto, il partito un altro». Oggi, il voto.


    

 

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