ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su Italia Oggi (Sezione: PRIMA PAGINA e Pag 25 ) |
Martedì 4 novembre 2003 |
Pentiti: è il momento di un bilancio
Qual è oggi la consistenza del fenomeno "pentiti"'? Sentenze come quella delle Sezioni unite sull'omicidio Pecorelli segnano il tramonto definitivo di questa fonte di informazioni processuali? E, prima ancora: quali effetti ha prodotto la legge n. 45/ 2001, che ha modificato il sistema della collaborazione? Qualche risposta può essere fornita anzitutto sul piano quantitativo, in base all'esperienza ormai biennale del nuovo regime. Da ottobre 2001 presiedo la commissione sui programmi di protezione, che ha iniziato ad applicare le nuove disposizioni; se i numeri hanno un senso, va constatato che la normativa introdotta al termine della passata legislatura non ha provocato contrazioni di nuovi ingressi nei programmi di tutela. Negli ultimi due anni le nuove ammissioni di collaboratori sono state 276(102 in più rispetto al biennio precedente); le capitalizzazioni, cioè i provvedimenti che segnano la conclusione di un programma, con l'inserimento socio-lavorati-vo del collaboratore, sono state 362, a fronte delle 83 del biennio precedente. Il numero complessivo dei collaboratori inseriti in un programma sono 1.114, in linea con la media degli anni precedenti. E significativo che, nonostante l'invarianza dei numeri, nell'ultimo biennio, grazie anche alle nuove norme, si è registrato un calo netto delle spese dell'intero sistema della protezione; fra le cause, l'ancoraggio a parametri oggettivi degli assegni corrisposti mensilmente (è alle spalle il tempo delle crociere o dei compensi miliardari), la razionalizzazione degli oneri per la difesa e l'aumento delle capitalizzazioni: pur se queste ultime comportano un esborso immediato (una sorta di liquidazione per consentire l'avvio di un lavoro), in realtà ottengono un risparmio alla distanza, perché non viene più corrisposto l'assegno di mantenimento. Una delle novità della legge 45 è il confine netto posto tra la figura del collaboratore e quella del testimone, che peraltro risponde a una differente logica di sistema: il primo è un delinquente e punta a una serie di premi (a cominciare dalla riduzione delle sanzioni) in cambio delle proprie dichiarazioni; il secondo è una persona onesta ed entra nel programma di protezione perché ha assistito o è parte offesa di gravi atti criminali: va pertanto tu telato per i rischi che corre a seguito della testimonianza, e punta non a un premio, bensì a non ricevere pregiudizio a causa del servizio che rende alla giustizia. L'esistenza nella nuova legge di un capo a sé, dedicato ai testimoni di giustizia, permette oggi di affrontare positivamente, in modo meno traumatico rispetto al passato, sia i nuovi ingressi nel programma (nell'ultimo biennio sono stati tre volte e mezzo rispetto al biennio precedente) sia il reinseri mento, recuperando situazioni che si trascinano inutilmente da anni. oggi testimoniare in contesti condizionati dalla criminalità mafiosa non è più un salto nel vuoto: è reale lo sforzo per evitare che il testimone e i suoi familiari patiscano una situazione di isolamento, ma soprattutto per consentire, con un percorso concordato, che t'attività di lavoro prosegua al più presto nella località nella quale ci si è trasferiti, in condizioni non deteriori rispetto a quelle originarie. In un paio di casi, su richiesta de-gli interessati, si è evitato il trasferimento in località protetta, nella consapevolezza che restare al proprio posto rappresenta la migliore contestazione, nei fatti, alla pretesa della mafia di controllare il territorio. Questa soluzione ovviamente costa in termini di impiego di unità di polizia, ma è un obiettivo da raggiungere, per lo meno a medio-lungo termine, per scongiurare la convinzione secondo la quale il primo danneggiato dalla testimonianza è il medesimo testimone. La valutazione sulla qualità delle collaborazioni compete quasi esclusivamente all'autorità giudiziaria. La commissione sui programmi di protezione è un organo amministrativo, non giurisdizionale: non possiede né la competenza istituzionale né quegli strumenti di indagine che, facendo acquisire dei riscontri, consentano di comprendere la reale utilità di una collaborazione; dunque, non può che recepire gli elementi di fatto e le considerazioni dell'autorità giudiziaria che chiede l'inserimento nel programma. Ciò nonostante, poiché la legge le impone di verificare l'intrinseca attendibilità, l'importanza e la novità della collaborazione, la commissione deve muoversi fra l'ossequio alla norma e l'esigenza di non oltrepassare il confine fra amministrazione e giurisdizione: tale limite viene rispettato se emerge con chiarezza che le rivelazioni poste a base della proposta riguardano fatti per i quali la stessa autorità giudiziaria ha già a disposizione elementi che l' hanno condotta ad adottare provvedimenti significativi, rispetto ai quali non ci sono aggiunte di rilievo da fare. Non infrequentemente prima di decidere la commissione chiede all'ufficio giudiziario ulteriori elementi concreti; in qualche occasione, permanendo l'incertezza, respinge la proposta. E certo che un indice di utilità delle collaborazioni è costituito da quelle informazioni che consentono di individuare, e quindi di sequestrare, beni di provenienza illecita; altrettanto certo è che la collaborazione è tanto più seria quanto più prontamente il collaboratore elenca i beni da lui percepiti illecitamente: un obbligo fissato dalla nuova legge per evitare che il pentimento rappresenti il mezzo per continuare a godere del frutto del proprio disonesto lavoro.
Alfredo Mantovano
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