«E' l'ultima delle mie preoccupazioni, la decisione di spospendere la pena (per sei mesi ndr) era scontata». Come tutti i familiari, anche Nicola Sofri, il secondogenito di Adriano, non ha alcuna intenzione di partecipare all'ennesimo balletto politico sulla sorte carceraria di suo padre, in lotta tra la vita e la morte nel reparto Rianimazione del Sant Chiara di Pisa dopo il ricovero di sabato causato da un'emorragia all'esofago.
Le condizioni dell'ex leader di Lotta continua, dopo l'intervento chirurgico di sabato, sono stazionarie. In queste ore i medici ragionano sul momento migliore per indurre il risveglio. Il pericolo maggiore in questi casi è quello di una complicanza dovuta a un'infezione.
Fin qui, la cronaca medica.
Partendo dal casus del ricovero di Adriano Sofri, sulla cui pelle in questi anni è stata giocata una battaglia politica spesso cinica e strumentale, la classe dirigente italiana intanto continua a interrogarsi su un periodo, quello del 68 e degli anni di piombo, che per molti rappresenta ancora una ferita aperta nella coscienza nazionale, quasi uno strascico di quella guerra civile che ha insanguinato l'Italia per un ventennio, a partire dalla strage di Piazza Fontana fino (almeno) all'omicidio Ruffilli.
SOLUZIONI POLITICHE
C'è chi ripropone, per chiudere quella vicenda, l'amnistia-indulto per tutti i protagonisti dell'epoca, dal fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio agli estremisti neri Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti, condannati per la strage alla stazione di Bologna. Ma ora che l'ex leader di Lc versa in condizioni critiche, sono in pochi (a sinstra come a destra) a chiedere una soluzione generalizzata per tutti i così detti prigionieri politici.
GRAZIA Sì, SILENZIO SULL'AMNISTIA
Due leader della sinistra accorti come Fausto Bertinotti (Rifondazione) e Gavino Angius, ad esempio, (Ds) si sono guardati dal chiedere colpi di spugna generalizzati. Per due ragioni. La prima di ordine ideologico: gli eredi del Pci sono stati alla fine degli anni 70 tra i più fieri avversari dell'estremismo rosso e nero, contro i quali non esitarono a sostenere soluzioni emergenziali come la Legge Reale, i processi Calogero, il no a tutte le trattative. Ma c'è soprattutto una ragione di ordine pratico alla base delle esternazioni dei dirigenti dei Ds e di Rifondazione: allargare il discorso a tutti i protagonisti degli anni di piombo (anche a quelli assai meno popolari di Sofri) significa in questo momento non fare nulla, condannarsi alla paralisi, riprire l'infinita e sterile discussione tra fautori della «soluzione politica» e partigiani del chi ha sbagliato paghi, potenzialmente maggioritari tra l'elettorato.
Al contrario, la grazia individuale a Sofri, che non esclude affatto ma anticipa una soluzione amnistiale per tutti i prigionieri politici, richiede soltanto una sentenza della Corte Costituzionale che faccia chiarezza su chi debba comminarla, la grazie: se il Guardasigilli (Roberto Castelli, contrario) o il presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi, favorevole). C'è poi la questione, nient'affatto trascurabile ma superata dalla richiesta di grazia avanzata da Ovidio Bompressi, della prassi costituzionale: per ottenere la grazia, bisogna prima averla richiesta. E Sofri non lo ha mai fatto, perché - così ha sempre sostenuto - chiederla vuol dire fare un'anmmissione di colpevolezza. Diverso il caso di Ovidio Bompressi, il prersunto killer materiale del commissario Calabresi, che invece non ha esitato ad avanzare la richiesta al Quirinale: grazia che potrebbe essere estesa all'exc leader di Lc, l'unico dei tre (l'ultimo è Giorgio Pietrostefani) indicati dal pentito Leonardo Marino, attualmente in carcere.
DIVISIONI A DESTRA
Se la sinistra fa quadrato attorno a Sofri, di cui chiede la grazia, il centrodestra appare diviso. La posizione di Silvio Berlusconi è nota, ma minoritaria all'interno del Polo dove finora hanno prevalso i «falchi» come Ignazio La Russa, Francesco Storace, Roberto Castelli, Francesco D'Onofrio, contrarissimi a qualsiasi soluzione di clemenza e autoprovlamati eredi del partito della fermezza. Poi ci sono i pontieri, le colombe, come il portavoce azzurro Sandro Bondi, l'avvocato Gaetano Pecorella, tutt'e due di Forza Italia, e in Alleanza nazionale (dalle fila del Msi provenivano molti terroristi neri) Alfredo Mantovano e Mario Landolfi. Insomma: la battaglia è aperta è trasversale.