ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Politica www.percorsidiculturapolitica.it/politica.htm
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Mercoledì, 15 dicembre 2004

 

 

 

 La riforma della giustizia


 

Roma, 3 dicembre 2004. La cornice è un teatro che ha segnato un’epoca: il mitico Ambra Jovinelli. Non vanno di scena sciantose più o meno svestite, ma qualcosa di apparentemente più serio: si conclude la due giorni organizzata da Magistratura democratica, in occasione dei 40 anni di vita della storica corrente di sinistra della magistratura associata, dedicata alla riforma dell’ordinamento giudiziario appena approvata dal Parlamento. Si conclude con il taglio di una mega torta con 40 candeline (tutte rigorosamente rosse) e con una pièce di Dario Fo. Nelle ore precedenti leader storici di Md (fonte: la Repubblica del 5.12.2004, p. 11) come Livio Pepino, Vittorio Borraccetti, Franco Ippolito, fino all’attuale presidente dell’Anm Edmondo Bruti Liberati hanno emesso sentenze del tipo: “la riforma dell’ordinamento giudiziario è un colpo durissimo allo Stato costituzionale, un disegno lucido e autoritario che rappresenterà uno spartiacque nella storia della magistratura”. Manca il meglio; e il meglio arriva quando, davanti agli stessi leader, il premio Nobel racconta di un “gran signore e imprenditore che si butta in politica e ha pure successo” ma “nel momento del suo massimo splendore muore”. Applausi dei presenti (cioè di magistrati che, in nome del popolo italiano, dirigono importanti uffici inquirenti e giudicanti), con il buon Fo che chiosa: “Cancellate subito quel pensiero che avete avuto”…

Sarebbe facile ricordare dal suo insediamento il governo guidato da quel “gran signore e imprenditore che si butta in politica” (del quale giudici in carriera auspicano pubblicamente la dipartita) ha avanzato proposte di riforma dell'ordinamento giudiziario che si inseriscono in un filone di riflessioni comuni a una vasta area culturale: basta ricordare il progetto di riforma costituzionale che ha preso il nome dell'on. Boato, a suo tempo votato quasi all'unanimità dalla Commissione Bicamerale. Fin dall'inizio la reazione dell’Anm è stata dura: ma di essa l'esecutivo, e la maggioranza che lo sostiene, hanno cercato di tenere conto; il desiderio di confronto è stato reale, come reale è stato lo sforzo per avvicinare posizioni antitetiche, fino a giungere, nel maggio 2002, a una bozza di articolato che recepiva molte istanze della magistratura associata. Il tutto è stato però interrotto bruscamente dalla stessa Anm, nel giugno 2002, allorché ha proclamato, e quindi realizzato, lo sciopero: uno sciopero che nei mesi successivi non ha potuto fare a meno di replicare, affiancandolo ad altre forme di protesta, come gli applausi alle battute di Fo e i defilè con la Costituzione in bella evidenza.

L’Anm ha protestato e protesta perché la riforma vieterà ai pm di diventare giudici nello stesso distretto: quale pericolo per le libertà democratiche del Paese deriva da questa previsione? Non soltanto l'odiato centrodestra, ma gran parte della cultura italiana, ritengono che una moderata articolazione di carriera, basata sui concorsi, può stimolare la formazione professionale dei giudici e può valorizzare la Corte di Cassazione. L’Anm, guidata da Md, sostiene che sottoporre i giudici alle valutazioni di una commissione tecnica, ancorché nominata e controllata dal CSM, equivale a far sferragliare nelle strade i blindati di Pinochet. Per non dire delle reazioni rispetto a qualsiasi ipotesi di riforma del CSM: il Consiglio è oggi, al tempo stesso, legislatore in materia disciplinare con le sue circolari, giudice disciplinare con le sentenze dell'apposita sezione, amministratore con i suoi poteri in materia di nomine e di trasferimenti. E' cioè, contemporaneamente, potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario; in più è formatore culturale dei giudici, con buona pace della così detta "separazione dei poteri". Ogni tentativo di modificare l'attuale assetto di questo "soviet" viene bollato come un colpo al cuore della civiltà giuridica.

C'è però un profilo sul quale il conflitto con il Centrodestra è effettivo, e sul quale il Centrosinistra mostra di non intendere ragioni: ed è la pretesa - non dichiarata ma reale - che la gestione politica di questo Paese avvenga nelle aule di giustizia; la pretesa, cioè, di considerare compito dei magistrati non il controllo sui singoli atti illeciti commessi dai politici (il che è doveroso), ma il controllo della politica nel suo insieme; la pretesa di bloccare qualsiasi freno posto in questa direzione, incluso il semplice divieto di iscrizione a partiti politici. Tutti i magistrati (a cominciare da coloro che si riuniscono all’Ambra Jovinelli) adempiono scrupolosamente al loro dovere: ma alcuni il dovere lo vedono in un modo, altri in modo diverso. Alcuni cambiano - per carità, in piena autonomia e indipendenza - concezione del dovere in base al tempo e allo spazio. La custodia cautelare non è intesa alla stessa maniera a Milano, a Roma o a Potenza. In alcuni processi viene utilizzata la presunzione "non poteva non sapere", in altri no. Sulle medesime carte alcuni giudici assolvono ed altri condannano, come mostra il caso Andreotti; quest'alternanza fa onore all’autonomia e all’indipendenza del corpo: ma da esse non possono dipendere i destini politici del Paese. Gli italiani leggono i giornali, vedono la televisione, e constatano che magistrati eminenti, sovente responsabili dei processi più difficili e delicati, si dichiarano "di sinistra", parlano come esponenti dell'opposizione, scrivono sull'Unità, applaudono gli auspici macabri di Dario Fo, tengono convegni e comizi sotto la sigla di organizzazioni politiche di opposizione, partecipano a manifestazioni no global. Si può condividere o meno l'ordinamento giudiziario, se ne può continuare a nel merito, dal momento che andranno varati i decreti di attuazione. Ma dobbiamo intenderci su un punto essenziale: il magistrato deve essere e apparire imparziale, deve avere una professionalità seria e verificata, e non può comportarsi come un politico di professione (per di più estremista e fazioso). A meno che i magistrati – al seguito della quarantenne Md - non vogliano confermare, con fatti concludenti, che il pericolo più forte per l'autonomia e per l'indipendenza della magistratura proviene dall'interno della stessa magistratura.


Alfredo Mantovano   
(www.mantovano.org)

 


    

 

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