di Alessandro Gisotti
Mantovano: Contro il terrorismo, serve una strategia attiva di contrasto
Per il sottosegretario all’Interno, il nostro apparato difensivo è di buon livello, ma nel settore dell’attacco si deve fare di più
Roma,
Invertire i ruoli tra attaccante e attaccato. E’ questa la chiave di volta per debellare il morbo terroristico. Ne è convinto il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, che in questa intervista esclusiva concessa a Politicanet.it si confronta a tutto campo sul capitolo numero uno dell’agenda mondiale post-11 settembre: come sconfiggere il terrorismo internazionale. Con il suo tradizionale aplomb, Mantovano indica le mosse necessarie per contrastare le reti terroristiche - siano esse interne o ramificate internazionalmente - e insiste su un punto: non basta difendersi, serve una strategia attiva di contrasto.
Il terrorismo interno, come un fiume carsico, riaffiora di tanto in tanto con gesti clamorosi. A volte semplicemente dimostrativi; in altri casi con conseguenze tragiche come insegnano gli omicidi di Biagi e D’Antona. Lo Stato è in grado di fronteggiare contemporaneamente la minaccia del terrorismo internazionale e l’azione sovversiva di ispirazione politica?
“Il contrasto al terrorismo, sia interno che internazionale, è un problema complesso che ha diverse articolazioni; e non c'è solo l'aspetto repressivo. Per impostare correttamente la questione bisogna per prima cosa cercare un’inversione di ruoli tra attaccante e attaccato, anche se questo può non essere facile da attuare e da accettare: non è sufficiente sviluppare solo un apparato difensivo sempre migliore, che consenta di sorvegliare ogni possibile bersaglio (con le limitazioni di libertà che inevitabilmente conseguono); bisogna piuttosto mettere in atto una strategia attiva di contrasto. Il terrorista si deve sentire selvaggina e non cacciatore. Certo, dove prosperano ambienti e sottogruppi sociali che, più o meno apertamente, fiancheggiano e sostengono le organizzazioni terroristiche, questo risulta decisamente più arduo. In questa prospettiva, c’è bisogno di uno sforzo di penetrazione informativa ma anche, e forse soprattutto, di un appoggio reale della comunità, che deve sforzarsi di cooperare con le istituzioni nella lotta al terrorismo. L’obiettivo del terrorista, infatti, è quello di paralizzare un gruppo: con lo strumento del terrore vuole distruggere i legami di aiuto reciproco e la capacità di operare in maniera coordinata per la propria difesa; ogni passo che si fa nella direzione opposta è una sconfitta per chi vuole sovvertire la società”.
Da quel tragico 11 settembre 2001 è passato ormai più di un anno. Il sistema di sicurezza del nostro Paese è adeguatamente attrezzato oggi per rispondere alla “novità” di un terrorismo impalpabile, ma - come dimostrato a Bali e in Kenya - tremendamente efficace quando decide di colpire?
“Il nostro apparato difensivo è sicuramente di buon livello ed ha anche una buona - e dolorosa - esperienza nello specifico settore. E' nel settore dell'attacco che si può e si deve fare di più. La cosa peggiore è che c'è una strisciante, ma ininterrotta apologia della violenza in ogni situazione di crisi sociale ed economica: penso, ad esempio, all’irresponsabile campagna pubblicitaria sui centri di permanenza temporanea per clandestini, che vengono definiti “lager”. Il sinonimo corrente di "lager", come si sa, è “campo di sterminio”: siccome non penso che il clandestino sia poco istruito, immagino che, leggendo sui giornali che i cpt sono “lager”, possa ben essere spinto a compiere gesti inconsulti pur di non trovarvisi e pur di paralizzare la comunità che lo minaccia con tali orrori”.
Quali sono secondo lei i punti deboli, quelli più vulnerbili, del terrorismo internazionale di matrice islamica?
“Ogni terrorismo, anche quello di matrice islamica, diventa estremamente vulnerabile nel momento in cui viene messo in evidenza la sua reale identità. La prospettiva ideologica del terrorista è innaturale e ingiusta, ma si nasconde sempre dietro grandi ideali e si maschera con roboanti richiami alla giustizia, alla libertà, ad ideologie politiche; per inciso, in quest'ultima categoria inserirei anche l’Islam, in cui l’orizzonte politico è inscindibile da quello religioso, poiché di fatto sono la stessa cosa. Se però il vero volto del progetto terroristico viene messo bene in evidenza, il suo potere di seduzione scompare e diventa sempre più difficile il mantenimento della fascia di fiancheggiatori, che gli sarebbe indispensabile per sopravvivere. A questo punto rimangono ugualmente possibili azioni terribili, ma non vi sono più spazi per il consolidamento di cui esse vorrebbero essere il presupposto”.
La tecnologia informatica viene utilizzata dai terroristi – di qualsiasi risma – come strumento per comunicare, programmare e colpire. E’ possibile neutralizzare le minacce che vengono dalla Rete, o Internet è un mare troppo vasto?
“Le nuove tecnologie hanno preso ormai piede nel mondo dell'informazione e gestiscono ambiti sempre più estesi della nostra vita quotidiana, dai sistemi bancari a quelli di volo strumentale: questo comporta inevitabilmente anche nuove possibilità di delinquere. Credo che comunque vi siano ampie possibilità di tutelare la sicurezza di tutti anche in questi campi; del resto quasi tutti si servono ormai di sistemi di home-banking e i crimini contro il diritto di proprietà in questo settore non sono più dei furti o delle rapine; proprio in questo ambito l’attività di sorveglianza e prevenzione della polizia postale è in crescita esponenziale. Rimane sempre il fatto che al terrorista basta poco per compiere gesti di grande impatto, ma, come ho già detto, il punto forte della lotta al terrorismo è di smascherarlo e di renderlo perciò inaccettabile anche per i suoi potenziali fiancheggiatori”.
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