ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su LA REPUBBLICA | Domenica 3 febbraio 2002 |
GABRIELLA DE MATTEIS LA NUOVA GUERRA OTRANTO — Osservi il mare, calmo, immobile, e immagini il gommone. Lo immagini nella sua folle corsa, veloce, velocissimo, mentre sfugge ed elude i controlli delle motovedette italiane. Lasciando in mare ancora una volta un'immagine di morte e disperazione. L'ennesima vittima dell'immigrazione clandestina aveva poco meno di 30 anni, era albanese. Non ancora clandestino sul territorio italiano, non più cittadino nel paese delle Aquile, era, a bordo del natante sul quale ha trovato la morte. Un giovane albanese come tanti. Con altri connazionali ha viaggiato per tutta la notte su un gommone oceanico, che un elicottero delle fiamme gialle prima, e le unità navali poi, hanno intercettato nel Canale d'Otranto. I due scafisti hanno raggiunto la costa dell'oasi protetta delle Cesine, hanno costretto gli immigrati a gettarsi in mare, lanciando in acqua anche quattro borsoni, carichi di droga. Il giovane albanese era appena sceso dal gommone, quando gli scafisti, pur di riprendere il largo e di sfuggire alle motovedette della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, lo hanno travolto. E lui è morto dilaniato dalle eliche. Ciò che accade dopo è la cronaca di un inseguimento in mare e il racconto di una tragedia, che una potente nave da guerra non avrebbe potuto evitare. Gli scafisti hanno lanciato il natante contro gli scogli, raggiungendo la riva a nuoto. Tra le mani i poliziotti stringono una foto, è quella dell'ennesima vittima. Clandestina, senza nome, anche nel giorno della morte e delle polemiche. Quelle scoppiate, inevitabilmente, dopo la decisione del governo Berlusconi, di schierare in mare la navi della Marina Militare per fermare il traffico di vite umane. Qui, nel Salento, da Otranto a San Foca, risuona con forza l'annuncio del Consiglio dei Ministri, apre interrogativi, ed insinua dubbi. Soprattutto tra chi ormai da anni vive i difficili giorni dell'emergenza e quelli, silenziosi e senza clamore, dell'accoglienza. Dice Don Cesare Lodeserto: "I profughi bisognerà comunque e dovunque aiutarli, i veri nemici sono i trafficanti". E le parole del sacerdote in prima linea restituiscono la strana immagine di una potente nave da guerra che intima l'alt ad un vecchio mercantile con donne e bambini stanchi ed affamati. Strana ad osservarla dai centri Regina Pacis di San Foca e L'Orizzonte di Squinzano dove i volontari sono come sempre al lavoro. Seguono la forza dell'abitudine e quella dell'esperienza, mentre aiutano gli "ultimi arrivati". I 477 extracomunitari, che il mercantile "Engin", sfidando l'imprevedibilità del mare e la consuetudine dei controlli, ha condotto sino alle coste salentine. Sono sbarcati a Gallipoli, aiutati da polizia, carabinieri e guardia di finanza, hanno bevuto l'acqua, che in piena notte, i supermercati della zona hanno offerto. Ed hanno con la forza dei numeri, imposto nuovamente all'attenzione del governo il volto doloroso e sofferto di una tragedia infinita, quello che meno spettacolari ma forse più pericolosi, continui sbarchi a bordo di gommoni, non sono riusciti a spiegare. A Lecce in Questura, nel giorno dell'arresto dei tre componenti dell'equipaggio della nave Engin, è il procuratore aggiunto della Dda, Cataldo Motta a dire che "il traffico di vite umane segue orami due direttrici". La prima dall'Albania conduce sino alle coste di Otranto. A solcare il mare Adriatico sono potenti gommoni guidati da scafisti senza scrupoli. La seconda invece dalla Turchia arriva in Calabria o a sud di Gallipoli. Lo Jonio è attraversato da vecchi mercantili. Gli investigatori non hanno dubbi, ad agire è una criminalità organizzata, spietata. A fermarla sarà la Marina, saranno le navi da guerra, promette da Roma il Ministro dell'Interno, Claudio Scajola. Ma Roma, vista da qui, dalla terra dell'emergenza e dell'accoglienza, sembra lontana, lontanissima, mentre un investigatore spiega le abili, e meno tecnologiche e sofisticate, armi di chi organizza i traffici. Uno dei presunti componenti dell'equipaggio era già al suo secondo viaggio in Italia, era stato identificato a Crotone, ma aveva dato un nome falso, ed era riuscito a sfuggire ai controlli, ritornando in Turchia. Lì dove, dicono oggi il sottosegretario al Ministero dell'interno e l'arcivescovo di Lecce si dovrebbe intervenire per fermare il traffico. Alfredo Mantovano sottolinea che "l'intervento delle navi della Marina non sarà un'operazione da guerra", ma riconosce i pericoli "il contrasto in mare dice è rischioso e ha mille controindicazioni". Perché il Salento, la terra più esposta, in anni ed anni di lotta al fenomeno dell'immigrazione, ha pagato un prezzo molto alto. Sempre in prima linea, a piangere la morte di giovani finanzieri o ad osservare la tragedia di immigrati sconosciuti. Ed oggi invece ad aver paura. Vinicio Russo, responsabile del centro Lorizzonte, pensa alle navi da guerra in mare ed esclama "è una decisione grave". Ricorda la tragedia del Venerdì Santo del '97, la collisione tra la corvetta Sibilla e la Kater I Rades, i cento profughi morti e dice "la strage potrebbe ripetersi se il governo schiererà le navi della Marina, perché la malavita che gestisce il traffico è spregiudicata, non esita ad uccidere". Lo sanno bene gli uomini delle forze dell'ordine, un poliziotto dice che "dalla navi delle Marina arriveranno solo più informazioni grazie ai radar". Come dire il compito più difficile, quello di inseguire e bloccare i gommoni, rimarrà quello delle forze dell'ordine. E allora chissà forse verranno altri morti, altre tragedie, perché in fondo come dice don Cesare Lodeserto "i poveri non può fermarli nessuno e le organizzazioni criminali sono spietate e spregiudicate".
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