ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su la Repubblica- Bari
(Sezione:    Pag.   )
Martedì 9 luglio 2002

LELLO PARISE

Per il consigliere del Csm "qualcosa non ha funzionato nelle primissime ore dell'indagine"

Di Cagno: "Il delitto di Michele come quello di Marta Russo..."


«Il delitto di Michele Fazio è come quello di Marta Russo». Le accaldate mosse dei pubblici ministeri baresi si spengono nelle poche battute di Gianni Di Cagno, fino al 31 luglio presidente della commissione del Csm che si occupa di criminalità organizzata, in coda ad un ragionamento lungo poco più di un'ora. «In un caso e nell'altro, è difficile arrivare ad una verità condivisa» sillaba l'avvocato eletto nell'organo d'autogoverno dei giudici. Chi vuole, può pescarci anche un'onda di sconcerto. Perché il sentiero che ormai da un anno a questa parte attraversa l'accusa rimane stretto e nebbioso. Michele Fazio fu assassinato per "sbaglio" il 12 luglio del 2001: aveva la leggerezza dei suoi 16 anni e come raccontò alla Camera il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, era «un ragazzo assolutamente estraneo a contesti criminali». Ad oggi ancora non c'è il nome del presunto killer iscritto nel registro degli indagati: l'inchiesta resta a carico "di persone da identificare".

Una beffa del destino?
«La verità è che in Italia, tutte le indagini sulle associazioni mafiose segnano il passo».

Perché, consigliere Di Cagno?
«Con questo codice di procedura penale non sembriamo in grado di fronteggiare la pericolosità delle cosche. A Bari come a Napoli, dove per la decorrenza dei termini c'è stata, l'altro giorno, una scarcerazione che ha dell'incredibile, quella del boss Mario Fabbrocino».

Il garantismo, d'accordo. Ma non è possibile evitare traumi di questo tipo all'opinione pubblica?
«E' che così come stanno le cose, trattiamo allo stesso modo il furto della gomma di un'auto e l'omicidio di Michele Fazio».

Gli inquirenti, nonostante tutto, hanno responsabilità?
«Probabilmente, qualcosa nelle indagini non ha funzionato».

Che cosa?
«Non lo so, ma di solito se nell'arco delle prime quarantotto ore non si riesce a venire a capo di un "fatto di sangue", è difficile che dopo la situazione investigativa migliori».

Né c'è un pentito in grado di fare sapere come sono andate le cose?
«Ovviamente, non sono in grado di rispondere. So, invece, che una legge sconsiglia in sostanza, la collaborazione con la giustizia. Nei primi cinque mesi di quest'anno i nuovi programmi di protezione per altrettanti "collaboranti", sono soltanto tre. Se vogliamo sempre e comunque fare vestire ai pentiti i panni dei mentitori e dei calunniatori, questi sono i risultati». Quello di Fazio è un delitto che resterà impunito?
«Mettiamola così: non ci possiamo meravigliare se fino ad oggi è rimasto impunito».

Forse anche perché i testimoni oculari dell'agguato continuano a mantenere gli occhi, e la bocca, chiusi. O no?
«Quasi certamente, esistono. Ma con i testimoni, i magistrati devono essere cauti. Altrimenti corrono il pericolo di vanificare le cosiddette acquisizioni istruttorie. Torniamo al caso Marta Russo: per un interrogatorio giudicato aggressivo alla testimone Gabriella Alletto, i pm sono stati inquisiti dal Csm, finiti sotto inchiesta alla Procura di Perugia... Diciamo che i magistrati non hanno voglia di rischiare brutte figure».

L'omertà di chi sa e non parla, completa un quadro poco consolante?
«Non voglio gettare la croce addosso ai "barivecchiani" nel momento in cui, per quanto riguarda l'assassinio di Michele Fazio, perfino l'amministrazione comunale non vuole costituirsi parte civile al processo. Entrambi i comportamenti, piuttosto, dimostrano che le organizzazioni mafiose in questa città, esistono e sono in grado di creare non poche difficoltà ambientali. A tutti».

vedi i precedenti interventi