ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su QN
Il Rest del Carlino Il Giorno La Nazione

(Sezione: Il Resto del Carlino    Pag.   )
Mercoledì 28 Agosto 2002

di Gaetano Basilici



 

«Non è una vendetta ma soltanto giustizia»



 

ROMA — «Mi associo alla richiesta di Prc e Verdi nel chiedere la liberazione di Paolo Persichetti. Se vogliano combattere veramente le nuove forme di terrorismo, dobbiamo avere il coraggio di chiudere con un'amnistia o almeno un indulto, e senza tardive vendette, un'epoca tragica della vita del nostro paese».

Che cosa pensa di questa presa di posizione dell'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga?
«Penso — risponde Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno — che ci sia almeno un termine sul quale non ci si intende: quello di vendetta. Qui siamo di fronte a una sentenza di condanna passata in giudicato per un fatto gravissimo come l'omicidio del generale Licio Giorgieri. Come è stato in molti altri casi, il decorso del termine non fa certamente venir meno la gravità dell'accaduto e l'esigenza che la giustizia segua il suo corso. C'è da aggiungere che se vi è un momento in cui non è consigliabile parlare di un provvedimento di clemenza con riferimento al terrorismo è proprio questo, perché oggetto di indagine è anche il collegamento tra il nuovo e il vecchio brigatismo, quello in carcere e quello dei latitanti. Quindi, in questo caso discorsi di provvedimenti di clemenza sono assolutamente da mettere da parte».

Ma, secondo lei, perché Francesco Cossiga è sceso così pesantemente in campo?
«Sono l'ultima persona abilitata a fare l'esegesi del presidente Cossiga».

Il ministro francese della giustizia Dominique Perben ha detto che i fatti addebitati a Paolo Persichetti risalgono al 1987, mentre la famosa «dottrina Mitterand» (nessuna estradizione per gli ex terroristi rifugiati a Parigi) è del 1985 e riguarda fatti avvenuti prima del 1982. E' dunque probabile che il caso Persichetti non avrà un seguito, anche se Perben non l'ha escluso. Lei che cosa prevede in proposito?
«E' davvero difficile fare previsioni perché la Francia ha sempre mantenuto un atteggiamento molto peculiare su questo fronte».

Questo è il problema: la posizione francese su un problema così importante. Che ne dice?
«Dico soltanto che se vi è un dibattito abbastanza animato in sede europea su strumenti comuni di indagine e di accertamento giudiziario, basta per tutti il riferimento al mandato di arresto europeo, riesce difficile sul tema di maggior peso in questo momento quanto a esigenze di stretta collaborazione tra gli Stati dell'Unione immaginare ancora questo tipo di riserve. Cioè immaginare che uno Stato possa fare riferimento esclusivo a decisioni adottate al proprio interno negli anni Ottanta. Con tutto il rispetto, se c'è questo tipo di riserve allora è inutile parlare di strumenti comuni di indagine e di accertamenti giudiziari».

In Francia alcuni protagonisti degli anni di piombo italiani appaiono preoccupati dopo quanto accaduto a Persichetti. Tra questi, gli ergastolani Sergio Tornaghi («adesso possono venirci a prendere tutti da un momento all'altro») e Cesare Battisti («se non reagiamo subito, i prossimi saremo noi»). Dal canto suo, Oreste Scalzone ha detto: «Pentirci? Qui non si tratta di pentirsi, ma di riflettere, di riesaminare».
«Avendo fatto il giudice penale per tredici anni sono abituato a prescindere dagli atteggiamenti degli imputati. Quando c'è una condanna diventata esecutiva, l'esigenza dello Stato che l'ha emessa è che sia eseguita. Poi è chiaro che questo crea una serie di tragedie sul piano personale e familiare, ma tutto ciò non intacca la necessità che la giustizia faccia il suo corso».


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