ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione:   Prima Pagina   e   Pag.  12   )
Venerdì 12 dicembre 2003

ALFREDO MANTOVANO

 

Per la prima volta battuta l'ideologia sessantottina


L'approvazione della legge sulla fecondazione artificiale conclude felicemente un percorso avviato nella passata legislatura, allorché un testo sostanzialmente simile a quello votato ieri ebbe il consenso della Camera, e fu poi affossato al Senato. Anche allora sulla legge si formò una maggioranza non coincidente con quella che sosteneva il governo: una maggioranza costituita dalla quasi totalità del centrodestra (con pochissime eccezioni, numericamente pari a quelle registrate oggi), dalla Lega, dai popolari e da qualche singolo esponente del centrosinistra.

E' importante capire in base a quali novità politiche adesso si è potuta definire una regolamentazione della materia. Può sembrare banale rispondere dicendo che ha inciso, e non poco, il cambio di maggioranza politica; banale forse, ma non distante dalla realtà. Quando, nel 1999, la legge passò alla Camera, l'on. Fabio Mussi, allora capogruppo dei DS a Montecitorio, e l'on. Walter Veltroni, allora segretario DS, proclamarono che quel testo non sarebbe mai diventato legge dello Stato. Un anno dopo, il sen. Gavino Angius, capogruppo DS al Senato, parlò di "missione compiuta" con riferimento al blocco da loro organizzato in quel ramo del Parlamento. Perché tanta virulenza, allora come ora? Perché, allora come ora, il Parlamento ha operato scelte legislative fondate sul rispetto del dato naturale. Ciò ha costituito fonte di preoccupazione per la sinistra: per la prima volta dal 1968 è stata sfidata con successo l'ideologia sessantottina secondo la quale non esiste una legge naturale. Questa legge è impressa nella natura di ogni uomo, anche se non sempre viene percepita con chiarezza. Essa è il frutto della osservazione e della "scoperta" delle costanti naturali della persona e della comunità; non è quindi il prodotto di una elaborazione umana, tale da poter essere arbitrariamente sostituita da altri uomini nel succedersi delle epoche storiche o al mutare dei contesti geografico-culturali. Non è una ideologia. Il tentativo di imporre una ideologia - qualunque essa sia - violenta la persona e la comunità e comprime le libertà concrete. Viceversa, il rispetto della legge naturale, che il legislatore recepisce attraverso l'attenzione al diritto naturale, esalta le libertà concrete e permette di consolidare un quadro di libertà ordinata. Fumo negli occhi per i nipotini degli ideologi di apparato. Ma oggi il centro destra è andato oltre: per la prima volta la politica ha aderito all'ammonimento secondo cui "ciò che è tecnicamente possibile non per questo è moralmente e normativamente accettabile" (per inciso mi permetto di ricordare ai disinformatori congeniti, che "morale" non è sinonimo di fede religiosa, ma norma di comportamento valida per tutti, sotto ogni cielo). Per la prima volta un testo di legge afferma nella sostanza che la visione naturale e integrale dell'uomo non tollera manipolazioni.

La preoccupazione della sinistra però non si ferma ai contenuti della nuova legge, ma si estende al terreno politico e al fondamento ideologico dell'impegno a sinistra. Ciò che è accaduto sfida un partito, i DS, erede del PCI, che, sulla scia della lezione gramsciana, ha preteso nei decenni passati il monopolio delle aggregazioni ampie, fondate su richiami comuni; e invece è successo (e in prospettiva potrebbe nuovamente accadere) che uno schieramento largo si sia formato su temi che richiamano direttamente i valori; in più, è stata minata la concreta realizzazione del progetto diessino, di un grande partito democratico che inglobi chiunque non sia schierato col centro-destra. A partire dal Congresso dell'autunno del 1998, dopo la caduta del governo Prodi e l'inizio del governo D'Alema, è veramente difficile sostenere che i DS siano esattamente la stessa realtà del PCI. Resta ben poco del vecchio partito e della sua struttura mitica e onnipervadente. Nell'ottica gramsciana, l'egemonia presupponeva un partito forte del suo centralismo democratico che, servendosi di cinghie di trasmissione - cioè di realtà a esso parallele, ma organicamente correlate - controllava i centri vitali della società, dalla scuola alla magistratura, dallo spettacolo all'editoria. Oggi non c'è questa egemonia: c'è piuttosto, come in passato ha ricordato Miriam Mafai, l'equivalente politico di un supermarket, che diversifica le offerte agli utenti in relazione alle esigenze di ciascuno; non è necessario che queste esigenze siano organizzate attorno a un unico centro di riferimento: l'importante è che ogni cliente trovi ciò di cui va in cerca. Dall'arcigay all'arcicaccia, dall'ecologismo hard al mantenimento della cooperazione e del sistema di aziende appaltanti per i lavori pubblici, fino ad un certo "cattolicesimo light" ridotto a vago solidarismo: ce ne è veramente per tutti i gusti. E' la traduzione in partito dell' orientamento new age: posto per tutti, purché nessuno pretenda di aver scoperto una soluzione che garantisca il bene di tutti in comune. Il filo conduttore che sostituisce l'egemonia è il relativismo: tanti box sono tenuti insieme se nessuno prevale o è semplicemente sovraordinato rispetto agli altri. E' la condizione per sperare che ogni gusto trovi soddisfazione.

L'affermazione, sostenuta dai voti di un Parlamento, che, invece del relativismo, è preferibile ancorare le decisioni della politica al rispetto della natura, pone alla sinistra dei seri problemi di identità, facendo chiedere che cosa possa tenerla ancora insieme. Già nella primavera del 1999 il tendone delle "ideologie per tutti i gusti" aveva patito seri danni strutturali (ma poi era seguito il blocco della legge sulla fecondazione). Oggi quel gioco subisce una sconfitta ancora più pesante: parlamentari di differenti partiti, alcuni dei quali posti al centro del centrosinistra, dovendo votare su questioni che richiamano principi di diritto naturale, preferiscono compattarsi attorno a questi piuttosto che ai diktat provenienti dai DS. Al di là delle intenzioni soggettive o delle convenienze di partito, è importante il dato oggettivo che l'aggregazione si è realizzata sui valori e non sul progetto del nuovo partito democratico vagheggiato dai DS; e quando a un supermarket cominciano a mancare alcuni stand sui quali si era fatto affidamento la capacità di attrazione della clientela comincia a vacillare.

Per concludere. Se il centrosinistra si mostra disunito su un tema di così grande rilievo - e allunga con questo l'elenco di divisioni su questioni importanti di politica estera e di politica interna - la compattezza confermata sul punto dal centrodestra, che ha aggregato parte dello schieramento avverso, rivela che, quando sono in gioco principi di civiltà, si riscoprono senza difficoltà le ragioni di quello stare insieme che ha motivato il consenso nelle elezioni del 2001. Per questo la pagina scritta ieri al Senato è una delle più significative di questa legislatura. Ma vi è di più: in un momento in cui il timone di turno dell'Unione Europea è in mani italiane, il parlamento italiano lancia un messaggio esaltante, che si spera apra un fecondo dibattito e venga raccolto da altre nazioni, a cominciare da quelle a guida conservatrice. Ancora una volta il centro destra ha saputo dare prova di saper fare politica autentica, né artificiale, né assistita.


Alfredo Mantovano
www.mantovano.org

 

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