ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione:        Pag.    7)
Sabato 17 luglio 2004

E. CON.

Il sottosegretario Mantovano propone un iter tecnico percorribile. A patto che ci sia la volontà politica

 

 «Potenziare le questure, coinvolgere i giudici di pace Ma, a monte, va recuperata l’unità d’intenti nella Cdl»


 

ROMA. «La maggioranza deve recuperare il metodo che ha portato alla Bossi-Fini. Poi non sarà difficile correggere la legge conformemente alla pronuncia della Corte costituzionale. E se anche il consiglio dei ministri avesse approvato il decreto sull’immigrazione, avremmo avuto un paio di settimane scarse per la legge di conversione». Secondo Alfredo Mantovano i correttivi alla Bossi- Fini richiesti dalla decisione della Consulta non sono stati immediati per la mancanza di tempo e di «un accordo sul piano politico». Il sottosegretario all’Interno osserva che i due aspetti sono strettamente legati tra di loro: «La Bossi-Fini è stata approvata in pochi mesi perchè c’erano soluzioni tecniche accompagnate dal consenso politico ».

Quando verrà emanato il decreto?
Non è una questione di date, ma viste le differenti sensibilità all’interno della maggioranza, occorre un preventivo approfondimento di carattere politico. Se si stipula un accordo leale in modo da muoversi nel solco della Bossi-Fini, il percorso del decreto alle Camere sarà molto più agevole.

Riguardo alla parte tecnica, quali soluzioni propone?
Si tratta di garantire il contraddittorio al clandestino che non ottempera all’obbligo di allontanamento dal territorio. Dato che la sentenza parla di «giudice» senza specificare, si potrebbe utilizzare la rete articolata dei giudici di pace assieme al potenziamento delle questure.

E il tribunale ordinario?
I giudici civili hanno troppe pratiche da sbrigare. Non possiamo sobbarcarli di altro lavoro. nnn Facciamo un esempio. Il clandestino sprovvisto di documenti, dopo l’arresto, è trattenuto per 60 giorni in un centro di permamenza temporaneo. Se non si arriva all’identificazione, riceve l’intimazione ad allontanarsi dall’Italia. Dopo la pronuncia della Corte viene meno l’arresto in flagranza e il clandestino viene premiato per la sua abilità a non farsi identificare. Ma qui il sistema si deve chiudere.

In che modo?
Cambiando sanzione e pena. La contravvenzione viene trasformata in delitto e l’arresto diventa reclusione fino a quatro anni. Si raggiunge quel tetto di pena che consente la custodia cautelare in carcere e si supera il problema dell’arresto in flagranza per un reato contravvenzionale, ritenuto illegittimo dalla Corte.

La Corte ha pronunciato una sentenza politica?
Non do valutazioni di questo tipo. Alle decisioni della consulta si dà esecuzione e si adottano i correttivi. Nient’altro.

La Sinistra ne approfitta per chiedere un ripensamento sulla vicenda della Cap Anamur.
In questo momento la commissione del ministero sta valutando lo status dei 37 africani: mi sembra significativo che loro stessi abbiano ammesso di non essere profughi del Sudan. Questo mette a tacere tante polemiche.

Niente asilo politico, dunque?
Occorre molta cautela. All’esame della Camera c’è la nuova legge sull’asilo. Mi sembra quella la sede più opportuna per parlarne.

C’è il rischio che l’Italia sia considerata l’approdo privilegiato dell’immigrazione clandestina?
A parte la collocazione geografica che non ci favorisce, la collaborazione con i partner europei ha funzionato a intermitezza. L’episodio della Cap Anamur sta a dimostrarlo. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta: con la Bossi-Fini gli sbarchi in Puglia e in Calabria sono stati azzerati e considerevolmente ridotti quelli in Sicilia.


    

 

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