ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su Secolo d'Italia
(Sezione:   Prima Pagina   e   Pag.  14   )
Martedì 2 dicembre 2003

ALFREDO MANTOVANO

 

È il momento del confronto non fermiamoci agli slogan


«È necessario in primo luogo riconciliarsi con il passato, prima di avviare un processo di riconciliazione con altre persone o comunità. Questo sforzo di purificare la propria memoria comporta sia per gli individui che per i popoli il riconoscimento degli errori effettivamente compiuti e dei quali è giusto chiedere perdono (…). Ciò talvolta domanda non poco coraggio e abnegazione».

E' un brano del messaggio che Giovanni Paolo II ha inviato circa un mese fa ai partecipanti a un convegno su Leone XIII. Viene in mente, senza forzature, pensando a ciò che Gianfranco Fini ha detto e ha fatto una settimana fa a Gerusalemme: "per noi condannare - sono sue parole - significa assumersi una responsabilità. (…) per il passato e per il futuro.

E' veramente riduttivo far ruotare il dibattito massmediatico su chi entra e chi esce da AN o sulla sopravvivenza del simbolo, che nessuno, per lo meno nel partito, mette in discussione. Il dibattito deve andare oltre la sintesi dei titoli dei giornali. Personalmente, pur avendo preso la tessera di AN due anni dopo Fiuggi (la mia prima e unica tessera di partito), sono orgoglioso di appartenere a una forza politica nella quale la dialettica sui valori e sulle questioni di principio è così forte e animata: saranno pure morte le ideologie, ma nella Destra italiana, con tutte le asprezze e le coloriture dei toni, si discute di idee. Con dolore, senza porsi limiti lessicali, ma con dignità e con passione. Non so dire se sono più le tessere che vengono restituite rispetto ai nuovi consensi; non lo so, e la conta non mi appassiona. So però, per aver partecipato quotidianamente nell'ultima settimana a riunioni di circolo o di federazione in varie città d'Italia, che, al di là delle dichiarazioni dei personaggi di vertice e di area, la nostra base e i nostri quadri intermedi hanno voglia di parlare di ciò che sta accadendo, di approfondire, di confrontarsi. E se c'è un momento, da quando AN è sorta, in cui la classe dirigente del partito ha l'occasione storica per dimostrare di non essere - come viene descritta caricaturalmente - il gruppone che arranca in salita mentre il leader si avvicina al traguardo con largo distacco, questo momento coincide con queste ore drammatiche e, al tempo stesso, esaltanti. E' il momento di capire e, nei limiti delle nostre capacità, di far capire, di non stancarsi di ascoltare, ma anche di descrivere, con quel carico di responsabilità che spesso diventa pesante pur avendo lunga esperienza politica. L'impressione, all'inizio di ogni incontro, qualunque sia il tema della serata, è di trovarsi di fronte a un disorientamento diffuso; ma quando si inizia a discutere la tensione si allenta, i volti si distendono; non vi è una immediata e generale condivisione: ma si coglie, insieme, la sofferenza e lo sforzo di andare oltre le apparenze.

Non fermiamoci agli slogan. Sfido chiunque a rintracciare nelle parole adoperate da Fini un solo cenno di condanna per il sacrificio di chi, avendo 16, 18, 20 anni, negli anni terribili fra il 1943 e il 1945, scelse di militare nella RSI, convinto che era il solo modo per restituire onore a una Patria tradita, per mantenere fede a un'alleanza, per limitare la reazione dell'alleato sul suolo nazionale; e convinto pure che quel passo era probabilmente senza ritorno. Ma non consapevole (solo pochi lo furono fino in fondo) che, mentre indossava (forse per la prima volta) una camicia nera che altri opportunisticamente avevano già dismesso, da varie città italiane i vagoni carichi di ebrei viaggiavano verso i campi di sterminio… Faremmo torto a quei ragazzi di 60 anni fa se non confermassimo la presa di distanza, chiara e inequivocabile, dalle distorsioni ideologiche che hanno fondato quell'esperienza storica, che hanno provocato quelle divisioni, che ancora adesso lasciano delle ferite aperte. Era sufficiente averlo fatto a Fiuggi? Non bastava riprendere questa parte delle tesi di Fiuggi, così come è avvenuto più volte dopo il 1995? Qui ci si deve intendere: o il contenuto del viaggio di Fini in Israele è la mera riproposizione di Fiuggi, e allora non comprendo il clamore delle polemiche provenienti da chi è stato in AN dal 1995 fino a oggi; o è qualcosa di più, e allora il quid pluris va individuato. A me non pare che ci si trovi di fronte a un semplice Fiuggi bis. Non per i contenuti, quanto per il contesto. Intanto, la "purificazione della memoria" non si compie una volta per tutte; è un processo, ha bisogno di richiami e di tempi di assimilazione e di sincera adesione. Di più: il palco di un congresso ha un suo peso oggettivo, non comparabile col podio di Hyde Park. Ma pronunciare determinate parole nel museo dell'Olocausto o dopo qualche ora, guardando negli occhi, con umiltà ma senza abbassare lo sguardo, chi ha avuto i genitori o i fratelli uccisi nei lager, ha un senso incomparabilmente diverso. Da questo punto di vista, ferisce sentir parlare di scelta di convenienza; Fini è vicepresidente del Consiglio, componente autorevole della Convenzione europea, leader stimato e ascoltato sul piano internazionale: che cosa doveva lucrare? Certi gesti non si fanno se non se ne è realmente convinti; certe frasi non si dicono - e non si dicono nel modo in cui sono state dette - se non se ne è intimamente persuasi.

Certo, il cammino era abbondantemente tracciato. Più volte in questo giorni si è ricordato Fiuggi. Sfogliando gli atti di altri appuntamenti della breve storia di AN, mi sono imbattuto nel discorso conclusivo di Fini alla Conferenza programmatica di Verona (marzo 1998): "AN non ha alcuna intenzione di utilizzare la storia e le tragedie del secolo che si chiude come arma impropria nella lotta politica odierna. (…) le differenze, le posizioni alternative, i valori diversi tra centro-destra e sinistra devono risultare tali in riferimento ai problemi dell'oggi e ancor di più del domani, non in base ai giudizi che si hanno sul passato". Fini non ha mai proposto agli avversari politici, e in particolare agli eredi del PCI, una sorta di amnistia della memoria: una vera e propria amnesia, un patto che, per reciproca convenienza, puntasse a non ricordare ciò che hanno fatto i padri e i nonni degli uni e degli altri. Un patto che, qualora fosse stato accettato, avrebbe - esso sì - meritato il marchio dell'opportunismo. Ha fatto esattamente il contrario, riecheggiando - senza chiedere a nessuno contropartita - l'ammonimento di Russel Kirk: "chi comprende il passato è in grado di preparare, esercitando la prudenza, un futuro accettabile". E' per questo che, a distanza di una settimana dal passaggio per Gerusalemme, personalmente continuo ad avere non solo ammirazione perciò che è accaduto, ma anche profonda emozione.


Alfredo Mantovano
www.mantovano.org

 

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