ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione:  POLITICA   Pag.     )
Domencia 10 novembre 2002

Francesco Verderami

Retroscena

An irritata per la sortita del premier teme l’avvio di una stagione di amnistie



 

ROMA - La mossa di Berlusconi lo aveva colto di sorpresa. E la sorpresa aveva lasciato presto spazio a una forte irritazione, appena saputo che il Cavaliere si era consultato con il Colle e aveva anche invitato Bossi a tacere, prima di sottoscrivere l’appello per Sofri. Ma il dissenso di Fini, così netto e clamoroso, non è dettato da una reazione emotiva, e non è nemmeno l’eventuale scarcerazione del capo di Lotta Continua a preoccuparlo, semmai le manovre politiche che già si intravvedono dietro quella richiesta, il timore che si apra una stagione alla quale il leader di An si oppone. Perché è chiaro che la grazia a Sofri avvierebbe il dibattito sulla chiusura degli anni di piombo e, se la diga cedesse, dopo gli anni di piombo si aprirebbe il contenzioso sulla stagione di Mani pulite. A quel punto tutto rovinerebbe a valle, aprendo la strada a soluzioni «perdoniste» che la destra non intende avallare. Fini sa quanto è costato al suo partito votare in Parlamento quella che molti tra i suoi hanno definito la «trilogia sulla giustizia». Conosce il malumore che albergava tanto tra i peones quanto tra i rappresentanti di governo, rassegnati a dover bere «un amaro calice». Ma già in estate - prima ancora che la «Cirami» arrivasse alla Camera - il vice premier avvisò Berlusconi che «d’ora in avanti su questa delicata materia la coalizione dovrà muoversi con provvedimenti organici e concordati tra i leader». E, giusto per inviare un segnale all’esterno, incaricò il sottosegretario Mantovano di annunciare che «An chiede agli alleati una moratoria di un paio d’anni su tutte le proposte che incidono sul processo penale. Siamo contrari ad altri strappi sulla giustizia».

Da allora non è mancata occasione per osteggiare qualsiasi sortita e, quando nei giorni scorsi dentro Forza Italia si è tornati a discutere di separazione delle carriere, il quartier generale di An ha posto subito il veto. «Abbiamo altri problemi urgenti da affrontare» è sbottato il capogruppo La Russa: «Se poi alcuni avvocati amici degli amici vogliono discuterne tra loro, facciano. Ma non possiamo parlare sempre di giustizia». Su questo tema la maggioranza è divisa da una faglia profonda, ed è facile individuare la distanza che separa An e Lega da berlusconiani e centristi. Ma anche dentro l’Udc convivono sensibilità diverse, basta ascoltare Tabacci, che prendendo spunto dal caso Sofri dice, come «dopo aver votato la legge Cirami, che ognuno ha il diritto di concorrere a chiudere tutte le pagine pregresse della storia del nostro Paese. Cito Citaristi per tutti... ».

La grazia è una prerogativa che spetta a Ciampi, e Fini si è ben guardato dall’invadere il campo del Quirinale, ma il caso Sofri è un grimaldello pericoloso, rischia di far esplodere un partito che è già sull’orlo di una crisi di nervi per l’andazzo della Finanziaria, per le vicende legate alla Rai... Tuttavia non sono oggi i malumori di An a preoccuparlo, quanto gli scenari «perdonisti». Dall’indulto all’amnistia, il suo è un «no» su tutta la linea, al punto che ieri ha di fatto derubricato la sortita di Berlusconi a «posizione di singole forze politiche», che devono essere «distinte dalle iniziative discusse all’interno della compagine di governo». Perché in effetti di questi temi si era già discusso nella maggioranza e, forse, qui risiede il maggior motivo di irritazione del vice premier. Secondo fonti autorevoli, il problema di chiudere la stagione degli anni di piombo era stato affrontato «ai massimi livelli» e, durante quei colloqui, si era ipotizzata una soluzione che prevedesse atti di clemenza verso alcuni personaggi oggi in carcere. Tra questi personaggi c’era anche Sofri. Ma, dopo l’omicidio del professor Biagi e l’evidente legame tra vecchio e nuovo terrorismo, la questione era stata accantonata. L’11 settembre l’aveva definitivamente seppellita: «In questo clima il Paese non capirebbe» commentò Fini. E da allora non ha cambiato idea. Almeno lui.


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