ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: POLITICA      Pag.    8)
Venerdì 13 maggio 2005

di MASSIMO FRANCO

 

 Vicepremier accerchiato da tutto il centrodestra


 

Il tentativo di svincolare il referendum dalle logiche di schieramento si conferma difficile. E il fuoco su Gianfranco Fini da parte del fronte dell’astensione non si ferma. La scelta del vicepremier di andare a votare, e di esprimere tre «sì» e un «no», suscita ondate di protesta nel suo partito, An. Ma arrivano pretese di spiegazioni anche da alcuni esponenti dell’Udc. E Avvenire , il quotidiano cattolico, scrive che «il relativismo etico non avanza solo a sinistra, incontra larghi consensi anche a destra». Sono parole che trasudano delusione, e lasciano capire che lo strappo referendario di Fini lascia un livido vistoso nei rapporti con le gerarchie ecclesiastiche. Si tratta di una vicenda che promette di andare oltre l’esternazione del capo della destra; e di accentuare il distacco della Cei dagli schieramenti politici. Ma potrebbe anche diventare un ulteriore elemento di tensione nella maggioranza. Per una coalizione che inanella sconfitte elettorali, e aspetta con ansia il responso di domenica a Catania, un’umiliazione al referendum sarebbe un altro colpo. Dentro An, qualcuno comincia a temere «la dissoluzione» della maggioranza. L’ala ipercattolica sostiene che l’atteggiamento di Fini ha «scioccato il partito»: il sottosegretario Alfredo Mantovano parla di fax con annunci di dimissioni. «Il nostro elettorato», dice, «non capisce né condivide».

Non è chiaro se questo smarcamento si tradurrà alla fine in un attacco alla leadership finiana dall’interno. Al di là dei pettegolezzi grevi sulle ragioni che potrebbero avere spinto al voto il vicepremier, rimane una sensazione di sconcerto. Il Foglio ha pubblicato due prese di posizione di Fini in materia di fecondazione, risalenti ad alcuni anni fa: cammei al cianuro per sottolineare il suo ripensamento. E il ministro dell’Udc, Rocco Buttiglione ammette che preferiva «il Fini di prima», accusandolo di non avere spiegato le ragioni per cui ha cambiato idea. «Credo», dice, «che dovrebbe farlo».

Eppure, forse la spiegazione è inconfessabile: potrebbe avere a che fare con l’emancipazione di Fini dal suo stesso partito, oltre che con la vicenda referendaria in sé. E comunque, nell’Udc non sembrano tutti scandalizzati. L’esigenza di tenere ferma l’alleanza col vicepremier è una delle costanti dei suoi vertici. Sia Follini, sia il presidente della Camera, Pier ferdinando Casini, lo considerano un interlocutore obbligato anche nella prospettiva del dopo-Berlusconi; e il Cavaliere è il primo a saperlo e a temerlo. Anche se qualcuno, maliziosamente, aggiunge che lo strappo di Fini lo rende un concorrente azzoppato nella corsa alla successione per la guida del centrodestra.

Ma sono calcoli che vengono fatti su macerie elettorali ancora fumanti; e con l'eventualità concreta che si possano aggiungere anche quelle delle elezioni per il sindaco di Catania. L’ipotesi che una sconfitta nella città siciliana acceleri una nuova resa dei conti, è tutt’altro che remota. Si sta diffondendo l’impressione che il Berlusconi bis non abbia risolto i problemi. E fra gli alleati cresce la spinta a rivedere gli equilibri interni, e a mettere l’accento sulla coalizione: una maniera indiretta per ridimensionare la leadership berlusconiana; per far capire al presidente del Consiglio che prima o poi, meglio prima che poi, dovrà decidersi a passare la mano; o almeno, a dare l’investitura all’eventuale successore.


    

 

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