ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: CRONACHE  Pag.   15  )
Domenica 14 Settembre 2003

Cristina Marrone

L’atto di accusa sulla notte delle violenze in caserma: trattamenti degradanti, violati il codice e i diritti umani

«A Bolzaneto anche gas urticante nelle celle dei fermati»

Mantovano replica: «Un paradosso contro le forze dell’ordine»


DAL NOSTRO INVIATO GENOVA - L’inferno di Bolzaneto lo raccontano i 43 avvisi di chiusura indagine inviati a poliziotti, carabinieri, agenti di polizia penitenziaria e medici. Una lunga serie di reati contestati dai magistrati di Genova per spiegare che là dentro, in quella caserma del reparto mobile alla periferia della città, «sono stati violati i diritti umani fondamentali». La notte tra il 20 e il 21 luglio 2001 almeno 500 manifestanti del G8 sono stati scaricati dai cellulari di polizia e carabinieri, identificati e poi trasferiti in carcere. Ma nelle stanze di quella fortezza, secondo l’accusa, sono volati schiaffi e pugni, minacce e ingiurie. «Trattamenti inumani e degradanti» che hanno spinto i pm a trasformare le denunce dei manifestanti in un’inchiesta ora arrivata a un passo dalla richiesta di rinvio a giudizio.


GLI INDAGATI - I sei pm genovesi hanno individuato una catena di comando che quella notte ha operato all’interno della caserma. Il cosiddetto «livello apicale» con i dirigenti Alessandro Perugini, all’epoca numero due della Digos di Genova; Anna Poggi, funzionario di polizia in servizio a Torino, e Antonio Gugliotta, ispettore di polizia penitenziaria; i quattro «preposti»: due funzionari di polizia e due tenenti dei carabinieri, Gianmarco Braini e Piermatteo Barucco; gli «intermedi», semplici agenti di polizia, guardie penitenziarie e marescialli dell’Arma. Per loro l’accusa è aver «permesso e tollerato» che gli «esecutori materiali», una decina in tutto, tra cui l’assistente capo Massimo Pigozzi (accusato di aver rotto le dita di una mano a un manifestante), trattassero in modo «indegno e inumano» le persone fermate. Infine ci sono i quattro medici: Giacomo Toccafondi, coordinatore dell’infermeria, Aldo Amenta e due donne.


LE ACCUSE - I reati contestati vanno dall’abuso d’ufficio alle ingiurie, dall’abuso di autorità di persone detenute all’omissione di referto, dalle lesioni alle minacce fino alle percosse. Decine gli episodi. Una ragazza che aveva vomitato in cella non sarebbe stata assistita: dalle sbarre le avevano solo gettato della carta, ordinandole di pulire. Durante le visite mediche sarebbero state fatte «domande anche sulla vita sessuale con evidente fine di scherno». Alcuni manifestanti, dice l’accusa, «sono stati costretti a stare in piedi, a gambe divaricate, braccia alzate, volto al muro», altri sono stati colpiti «da un getto di gas urticante-asfissiante nelle loro celle». Una ragazza sarebbe stata costretta a girare su se stessa oltre dieci volte, senza nessun motivo, altre «sono rimaste nude durante la visita medica anche in presenza di uomini». E poi ci sono le canzoncine fatte cantare sotto le minacce: «Viva il Duce», «Faccetta nera» e gli insulti: «Alla Diaz vi dovevano fucilare tutti», «siete pronti per la gabbia», «zecche comuniste», «te lo do io Che Guevara». Alcuni dei fermati darebbero rimasti fino a 15 ore senza acqua né cibo.


LE REAZIONI - Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno definisce gli avvisi di chiusura indagine «un drammatico paradosso, black bloc vittime e poliziotti aggressori». «Nel capoluogo ligure due anni fa - dice - si è realizzato il più grosso tentativo organizzato e pianificato di aggressione violenta nei confronti dei partecipanti a un vertice internazionale e di chi era preposto alla loro tutela. Ancora una volta si rischia di identificare gli aggressori nelle forze di polizia e gli aggrediti nei black bolc». Pochi fra i diretti interessati dalle accuse scelgono di parlare. Aldo Tarascio, segretario del Silp, la Cgil nella polizia, si ritrova ad essere accusato delle violenze di Bolzaneto: «Abbiamo solo trasportato gli arrestati nella caserma, li abbiamo tenuti in custodia per un’ora. Non è successo assolutamente nulla, poi ce ne siamo andati. E mi ritrovo indagato». Nando Dominici, all’epoca del G8 dirigente della squadra mobile di Genova e ora questore vicario a Brescia, indagato per l’irruzione alla Diaz prende le distanze: «Questa è l’accusa, bisogna fare una verifica. Sono amareggiato, perché è assurdo solo pensare una cosa del genere. Non so ancora di cosa mi accusano, ma so quello che non ho fatto».


    

 

vedi i precedenti interventi