ROMA - «Non ci penso per niente, questo è poco ma sicuro». Con queste poche parole, Gianfranco Fini, a metà pomeriggio, dichiara guerra al suo partito. Non si dimetterà domani davanti all’ufficio politico, come da qualche giorno facevano circolare voci interessate di Alleanza Nazionale. Non farà neppure quell’atto di contrizione sulla scelta referendaria che a via della Scrofa, a partire da Pubblio Fiori e Alfredo Mantovano, vorrebbero: «Ho la certezza di aver agito secondo coscienza - spiega Fini da Lussemburgo -, non mi sono mai chiesto se votare sì era politicamente utile, ma se era moralmente giusto».
DIMISSIONI - Le sue parole, come era prevedibile in un partito in cui molti e per motivi diversi aspettano la resa dei conti, hanno lo stesso impatto di una bomba. Passano infatti pochi minuti e il ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno rilancia: «Mi dimetto io, dalla vicepresidenza del partito», un gesto deflagrante, che mira ad aprire ufficialmente la crisi della dirigenza e della leadership. Un’altra manciata di minuti e il sottosegretario Alfredo Mantovano fa sapere che anche lui lascia, si dimette dall’esecutivo del partito. Segue una lunga lista di deputati e senatori e amministratori di vario grado che dichiarano il proprio apprezzamento per la scelta di Alemanno. La conta è cominciata. Gustavo Selva è tra i primi a schierarsi e con lui Adriana Poli Bortone: «Il partito non ha più guida politica, non ha saputo mantenere fede alle tesi di Fiuggi».
COLONNELLI - Gli altri due vicepresidenti di An, Ignazio La Russa e Altero Matteoli non si dimettono. Sono di poche parole e stanno con Fini. Ma l’impressione è che l’epoca dei triumviri, dei colonnelli che gestiscono le diverse aree del partito per conto del presidente, è al tramonto. Il capogruppo al Senato Domenico Nania, il sottosegretario Manlio Contento, Italo Bocchino, il viceministro Urso, Landolfi e Tremaglia si affrettano a dichiarare che, se anche ci sono molti nodi da sciogliere nel partito, non c’è un problema di leadership dentro An.
CORRENTI - Non basta questo a fare della sfida di Alemanno un gesto isolato. Il malumore è diffuso e domani rischia di esplodere nello sfogatoio della presidenza. Persino il sito Internet di An ha sospeso momentaneamente il forum dei lettori e dei militanti.
Il timore del leader di An è che anche chi non mette formalmente in discussione il suo ruolo (La Russa e Gasparri) consideri comunque l’ipotesi di un leader logorato e commissariato come un possibile sbocco della crisi. Gasparri in particolare chiede un cambio di passo sul metodo nel partito e La Russa apre all’idea di Alemanno di superare le correnti e rimescolare le carte nel partito. Francesco Storace, in passato in prima linea nel contestare il vicepremier, per ora sta coperto: «Della decisione di Alemanno non sapevo nulla. Vorrà favorire la discussione». E infatti il prossimo mese, in vista dell’assemblea di inizio luglio, rischia di essere decisivo per An e per Fini.
«Non credo che Fini pensi a una sua lista che sarebbe improduttiva - spiega Domenico Mennitti -. Queste sono fibrillazioni e crisi di una classe dirigente che è stata al governo e che non vuole tornare a fare il deputato e basta. Certo An in questi dieci anni non è riuscita a trovare la dimensione di un moderno partito di destra».