ROMA - L’ispezione decisa dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, va avanti. Ma nella maggioranza, dopo la scarcerazione di Enzo Brusca, c’è anche chi invita alla calma e difende l’utilità dei pentiti nella lotta alla mafia. Come il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano: «Quello che conta è il loro contributo processuale. E poi occorre fare un calcolo costi-benefici». O come il presidente della commissione Antimafia, Roberto Centaro: «La legge può essere migliorata, ma non sull’onda dell’emotività». Le polemiche, però, non si fermano. Il vice premier Gianfranco Fini parla di «provvedimento discrezionale». Per l’Osservatore Romano nel Paese ci sono «perplessità, senso di inquietudine e smarrimento» perché «esce di carcere a sette anni esatti dall’arresto, chi ha ammesso otto efferati omicidi».
ISPEZIONE - Castelli parla di «offesa al senso comune» e torna sulla decisione presa ieri, l’ispezione al tribunale di sorveglianza di Roma: «Ho dato incarico di vedere quali sono le cause per cui è stato scarcerato un assassino che ha strangolato un bambino, l’ha sciolto nell’acido».
Per Fini gli ispettori accerteranno se la «pena alternativa era indispensabile oppure, come credo, discrezionale». Il ministro per le Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, parla di «offesa intollerabile per l’anima della Sicilia onesta. Ogni siciliano che ha vissuto l’omicidio di Giovanni Falcone come la più profonda ferita inferta dalla mafia alla speranza di riscatto della propria terra, ogni madre, ogni persona, che ha avvertito l’atrocità indicibile dei carnefici del piccolo Di Matteo, non può che essere profondamente turbata e indignata». E Alfredo Biondi, Forza Italia, vice presidente della Camera, dice che è l’esempio di «come la giustizia possa essere ingiusta anche quando sul piano della legalità formale si applicano norme che danno il voltastomaco».
Il senatore azzurro Lino Jannuzzi fa un passo in più: pensa ad una commissione parlamentare d’inchiesta proprio sulla gestione dei pentiti. E per questo ha presentato un disegno di legge. Mentre Roberto Salerno (An), chiede l’introduzione di «un livello standard di pena da scontare in ogni caso».
LA LEGGE - Ma nelle file della Casa delle libertà c’è anche chi invita a moderare i toni. Spiega Mantovano, Alleanza nazionale: «Nelle indagini sono necessari degli spunti, degli strumenti per accertare la verità sui fatti. Occorre capire se si è disposti a pagare anche questi prezzi che sono dolorosissimi e che creano sconcerto». Aggiunge Centaro, Forza Italia: «Per quanto possa ripugnare moralmente, si è soltanto applicata una legge che risponde alla ragione di Stato. I collaboratori di giustizia hanno dato un apporto significativo alla lotta contro la criminalità organizzata. La legge può essere senza dubbio migliorata, va riesaminata, ma con la necessaria freddezza e non sull’onda dell’emozione».
Per l’Italia dei valori, protesta Luigi Li Gotti: «Nel 2001 il Parlamento ha votato la legge sui pentiti con il solo voto contrario di Antonio Di Pietro. Ora si scandalizzano. Ma così discreditano le Camere».
IL PROCURATORE - Secondo il procuratore nazionale antimafia, Piero Luigi Vigna, «non c’è da scandalizzarsi, è la legge». La pensa allo stesso modo il procuratore di Palermo, Pietro Grasso: «Non capisco perché non si debbano dare benefici concessi con tutte le garanzie giurisdizionali. Nel caso di Brusca, poi, si parla di arresti domiciliari, che sono comunque una forma di detenzione».