ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su CORRIERE DELLA SERA
(Sezione: OPINIONI   e   Pag.   43   )
Martedì 2 dicembre 2003

Risponde PAOLO MIELI

 

Ma quand'è che in Italia le droghe sono state legali?

 


Nel merito della risposta che lei ha dato sul caso che ha riguardato il senatore a vita Emilio Colombo, concordo con lei, caro Mieli, sulla perdurante inciviltà del deposito di atti giudiziari nella redazione dei giornali invece che nelle cancellerie, soprattutto quando questi coinvolgono persone non indagate.
Avendo, però, avuto una minuscola parte nella preparazione del disegno di legge del governo sulla droga, mi permetto di dissentire dal resto del suo ragionamento:
il consumo di cocaina da parte di un senatore dal passato autorevole dimostrerebbe - perdoni la rozzezza della sintesi - una tale diffusione del fenomeno da indurre a riflessione chi ha predisposto una svolta di rigore sugli stupefacenti.
Ma, mi scusi, se la droga fa male a sè e agli altri, è irrazionale circoscriverne il più possibile la diffusione?
E questo sforzo, al di là dell'individuazione dei mezzi, deve bloccarsi al pensiero che sono in tanti ad assumerla, e che fra i tanti ci sono anche dei rispettabili Vip?

Alfredo Mantovano


 

  Caro Mantovano,

lei, sottosegretario di An all'Interno, sostiene che la legge Vassalli-Russo Jervolino («buona nell'insieme e nei principi ispiratori ma rovinata dal referendum del 1993»), è diventata lassista nel momento del contatto con la droga da parte del potenziale consumatore, inutilmente rigorista sul fronte del recupero. Racconta che le è capitato di incontrare, in comunità, persone che lì erano entrate agli arresti domiciliari; avevano poi affrontato la terapia con successo, al punto da diventare educatori in quelle stesse comunità; ma successivamente erano dovute tornare in carcere perché nel frattempo erano maturate le condanne per i reati da loro commessi a causa della tossicodipendenza. Pazzesco.

«Con le norme oggi in vigore», ricorda poi, «è possibile evitare la reclusione se il cumulo delle condanne non supera i quattro anni; con la legge che proponiamo quel limite viene elevato, in presenza di un recupero effettivo, a sei anni».

Lei sostiene inoltre che nel ddl non c'è una norma che spedisce in carcere chi fuma uno spinello e afferma che viene fissata una soglia quantitativa, al di sotto della quale si applicano sanzioni amministrative simili a quelle già in vigore. Poi però chiede: «È bieco proibizionismo sospendere la patente di guida a chi fa uso di droga? Saremmo tranquilli se apprendessimo che l'autista del pullmino che accompagna i nostri figli a scuola è un allegro spinellatore?». Tra l'altro, lei dice, il carcere potrà essere evitato se si accetta il recupero, in comunità o con il servizio pubblico; e potrà essere evitato, anche da parte di chi rifiuta un recupero concordato, «se si impegna in un lavoro sostitutivo, per un periodo pari a quello della reclusione».

Dopodiché lei sostiene che la cancellazione di ogni differenza fra droghe «leggere» e droghe «pesanti» è «coerente con la realtà» dal momento che, un paio di mesi fa, il Consiglio superiore della Sanità ha documentato i danni fisici e psichici, talora irreversibili, causati dall'assunzione dei derivati della cannabis, comunemente ritenuta «leggera» e ludica; e sottolinea che, mentre dieci anni fa lo spinello conteneva una percentuale di principio attivo in media non superiore all'1-1,5%, oggi è facile trovare questa percentuale elevata al 15-20%. Talché uno spinello di tale potenza non sarebbe più «leggero» di una dose di eroina, (per non parlare delle nuove droghe, «di quelle pastiglie sempre più diffuse e sempre più devastanti e per le quali il recupero è così problematico»).

«La nostra prospettiva», conclude, «non si fonda sull'esperienza annoiata del pariolino o sull'abitudine, probabilmente sotto controllo medico, dell'adulto in cerca di sollecitazioni; si fonda sulla tragedia reale di tanti giovani e meno giovani e delle rispettive famiglie, che vogliamo coinvolgere, insieme con l'associazionismo e con il volontariato, in uno sforzo comune non affidato esclusivamente alla norma di legge, per l'affermazione della libertà dalla droga». Senza esimersi, però, dall'aggiungere una piccola postilla: «la libertà della droga è già stata sperimentata e ha fallito».

Il suo ragionamento, caro Mantovano, è interessante ma io - che ho fatto riferimento al caso del senatore Colombo solo per ironizzare sull'ipocrisia di chi descrive il mondo dei tossicomani come separato e distinto dal nostro - tenderei a escludere che in Italia sia mai stata sperimentata, come lei dice, non dico «la libertà» ma anche solo la «legalità della droga». Sono anni che lo Stato insiste a proibire anche le sostanze leggere e i risultati sono quelli da lei descritti. Infine fa sorridere, mi creda, il tentativo di riversare la colpa di ogni calamità in questo campo su quel (peraltro disatteso) referendum del '93.


    

 

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