ROMA - La notte porta consiglio, si dice. E così la frattura che sabato sembrava insanabile, ieri si è ricomposta. Gianfranco Fini ottiene la fiducia del partito, che approva quasi all’unanimità la replica finale, e a sua volta dà il via libera all’ordine del giorno unitario presentato dai leader delle correnti dopo un’estenuante trattativa.
IL DISCORSO - Quando il presidente di An sale sul palco, nella sala ancora riecheggiano le preci di Ignazio La Russa e Altero Matteoli: «Gianfranco ti prego, facci capire che il tuo è un atto d’amore e non uno strappo», aveva detto il primo. «Dimostraci che vuoi tutta An al tuo fianco, ti prego», aveva aggiunto il secondo. E così, dopo gli schiaffi, Fini distribuisce carezze: «Questo non è un partito di plastica» ma una comunità di cui lui si «sente parte integrante» al punto che «soffre» per non esserle vicino a causa degli impegni istituzionali. E allora è bene mettere da parte i risentimenti ed evitare i fraintendimenti, uno su tutti: «Non c’è un presidente che non ha fiducia nel partito così come so che non c’è un partito che non ha fiducia nel suo presidente». Seconda precisazione, rivolta soprattutto a Francesco Storace: «Non è vero che nella mia relazione ho voluto dividere, per me sarebbe una sconfitta» e se anche l’unità non si realizzasse «non ci sarà contrapposizione tra ingrati e chi mi dà fiducia. Sarebbe meschino». Fini sa che il ministro della Salute non ha mandato giù le critiche alle correnti e allora ecco un’altra puntualizzazione: la metastasi non è nelle componenti ma nella loro degenerazione, per questo devono essere superate, ribadisce il vicepremier, che poi tributa «massima gratitudine ai dirigenti di An. Chiedo scusa se ho offeso qualcuno».
IL PROGETTO - A chi, come Gianni Alemanno, gli rimprovera di non aver chiarito il progetto politico, risponde che l’obiettivo principale è «radicare An nella coalizione» e che la conferenza programmatica in autunno lavorerà su quattro temi: difesa dell’interesse nazionale nel contesto europeo, welfare centrato sulla famiglia, sicurezza e Patto per l’Italia. Fini torna anche sul partito unico e spiega di essere d’accordo con Casini quando dice che il progetto non va archiviato, poi ribadisce il no alle primarie.
Fini lascia per ultima la questione spinosa: «La scelta referendaria sulla libertà di coscienza era sbagliata nel modo in cui l’abbiamo presa. Avremmo dovuto riunire il partito e, dopo averne discusso, forse saremmo arrivati alla stessa conclusione». Insomma, par di capire che «l’errore» non è stato tanto la libertà di coscienza in sé, quanto il modo in cui ci si è arrivati, «il metodo» appunto. Comunque sia, Fini vuol buttarsi tutto alle spalle: «Bisogna prendere atto del risultato e archiviare questa fase». Che fosse questo lo scoglio più grande sulla strada dell’unità lo conferma la travagliata genesi dell’ordine del giorno comune, che più volte ha rischiato di finire nel cestino della carta straccia.
LA MEDIAZIONE - Il testo impegna il partito a superare il correntismo, riaffermare l’identità politica e i valori di Fiuggi, dare priorità al ddl sulla droga e alle politiche per la famiglia. Fin qui tutto bene, i problemi arrivano al capitolo referendum: da un lato Alemanno, Storace e Mantovano che chiedono un riferimento esplicito al divieto di modificare la legge 40, dall’altro Fini che insiste per aggiungere la frase «se non all’esito della verifica prevista dalla legge» e un passaggio sul «rispetto di tutte le opinioni espresse secondo coscienza». Dopo infinite limature, accontentati tutti, il documento viene approvato e così pure la replica di Fini (cinque contrari, tra cui Publio Fiori) che saluta tutti: «Sono molto soddisfatto, il partito ha ritrovato un’unità sostanziale. Non c’è stato nessun passo indietro». Soddisfatti anche i colonnelli, solo Alemanno appare più trattenuto anche perché i suoi rumoreggiano: «Fini è sceso dal piedistallo, abbiamo dato un segnale di unità ma questa non è la ricomposizione di meccanismi sclerotici. Per ora non torno a fare il vicepresidente».