ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


Interventi sulla stampa

 

Articolo pubblicato su LA SICILIA
(Sezione:  Fatti di Sicilia   Pag.   6   )
Giovedì 22 maggio 2003

Giorgio Petta

 

«Caso Brusca», favorevoli e contrari

 

Palermo. Il «caso Enzo Brusca» fa da spartiacque tra chi condanna «tout-court» la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma di concedergli gli arresti domiciliari e chi invece richiama all'attenzione la legge n. 45 sui collaboratori di giustizia approvato dal Parlamento nel febbraio del 2001 con il solo voto contrario di Antonio Di Pietro. Insomma, giusto o sbagliato?

In campo scende anche l'Osservatore Romano secondo cui «la decisione del Tribunale, oltre a riaccendere polemiche mai sopite sulla legislazione che riguarda i collaboratori di giustizia, ha suscitato tra la gente forti perplessità e un senso di inquietudine e smarrimento». Al quotidiano del Vaticano risponde Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno e presidente della Commissione che si occupa della protezione di pentiti e testimoni: «Bisogna fare un calcolo costi-benefici. Si vogliono degli spunti di indagine, si vogliono degli strumenti per accertare la verità su fatti mafiosi: bisogna capire se si è disponibili a pagare anche questi prezzi che sono dolorosissimi e che creano sconcerto». Inoltre, bisogna focalizzare l'attenzione sul contributo processuale portato da Brusca: «L'autorità giudiziaria – continua Mantovano – dice che questo contributo c'è stato. Io non aggiungerei nulla di più nel senso che le ragioni, la natura e la consistenza del pentimento appartengono a sfere spirituali, religiose che non attengono allo Stato. Esiste una legge, è stata applicata, forse con larghezza, da parte dell'autorità giudiziaria che ha assoluta autonomia sul punto specifico. Bisogna chiedersi se si è disposti a pagare questo costo».

Sulla qualità del contributo fornito da Enzo Brusca alla giustizia non ha dubbi il procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna: «Ha fornito all'autorità giudiziaria un importante contributo di conoscenze; ha consentito di verificare l'attendibilità di altri collaboratori». E allora dov'è – si chiede – lo scandalo se è stato applicato quanto prevede la legge? Sulla stessa linea il presidente della Commissione Antimafia, Roberto Centaro. «Per quanto possa ripugnare moralmente e suscitare sdegno ed emozione – afferma – si è soltanto applicata la legge. È una legge che risponde alla ragione di Stato: lo Stato rinuncia parzialmente alla sua potestà punitiva ricevendo come corrispettivo la conoscenza all'interno di una pericolosa organizzazione criminale, la possibilità di scoprire delitti e di assicurare alla giustizia decine di pericolosi delinquenti. In questi casi è facile fare demagogia toccando le corde del sentimento. I collaboratori di giustizia e non i pentiti hanno dato un apporto significativo alla lotta alla mafia. La legge – conclude Centaro – può essere senza dubbio migliorata, va riesaminata, ma con la necessaria freddezza e non sull'onda dell'emozione».

D'accordo, ma per il ministro per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo «la scarcerazione di Brusca, al di là delle problematiche giuridiche che apre, suscita angoscia e sdegno. Ogni siciliano che ha vissuto l'omicidio di Giovanni Falcone come la più profonda ferita inferta dalla mafia alla speranza di riscatto della propria terra, ogni madre, ogni persona che ha avvertito l'atrocità indicibile dei carnefici del piccolo Di Matteo, non può che essere profondamente turbata ed indignata. Per quanto importante possa essere per lo Stato l'aiuto di un collaboratore – continua – questo non può e non deve controbilanciare, fino a vanificarla di fatto, l'esigenza di giustizia che è alla base della civile convivenza. Il pentimento di un uomo, per quanto sincero possa essere, non può arrivare a cancellare le sue colpe e la scarcerazione di Brusca è un'offesa intollerabile per l'anima della Sicilia onesta».


   

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