ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
Interventi sulla stampa |
Articolo pubblicato su
La Sicilia (Sezione: Il Resto del Carlino Pag. ) |
Sabato 7 Settembre 2002 |
Gabriella Bellucci
Via libera alla sanatoria per chi lavora in nero
ROMA – Al termine di una seduta fiume durata più di cinque ore, il Consiglio dei ministri ha approvato ieri anche il decreto per l'emersione degli immigrati che lavorano in nero nelle aziende: saranno legalizzati con contratti di lavoro sia a tempo indeterminato, sia determinato di almeno un anno. In pratica, è prevalsa la via del compromesso che lascia margini più ampi del previsto agli extra-comunitari «non regolarizzati» di restare in Italia. Le colf e le badanti, in particolare, dovranno risultare assunte da almeno tre mesi, dimostrando il carattere continuativo del lavoro prestato. Per tutti, inoltre, è stata confermata la schedatura delle impronte digitali: entro un anno saranno prese all'immigrato che rinnova o a al quale è rilasciato il permesso di soggiorno. Lo stesso princìpio, del resto, varrà anche per gli Italiani che depositeranno le proprie impronte sulla carta d'identità elettronica. L'annuncio della «fumata bianca» per il proveddimento che, per tutta l'estate, è stato oggetto di un aspro contenzioso fra i centrisi di Buttiglione e la Lega di Bossi e Maroni, lo ha dato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Giovanardi. Lo stesso Giovanardi ha giocato un ruolo di primo piano nella soluzione di uno dei punti più controversi della legge Fini-Bossi che, in materia d'immigrazione, ha sostituito la legge Turco-Napolitano varata dal governo D'Alema. «Si tratta di norme rigorose per il futuro - ha detto Giovanardi - abbiamo voluto regolarizzare persone che hanno già un rapporto con le famiglie e con le imprese». Ma non è stato propriamente un dulcis in fundo quello che si sono riservati i ministri dopo il varo della riforma sull'editoria. Anzi. Perfino Berlusconi, poco dopo le 21, ha abbandonato la riunione, lasciando sul tavolo il provvedimento brandito come una minaccia dalle rappresentanze leghiste. Bossi e Maroni non volevano sentire ragioni sulla necessità di vincolare la regolarizzazione dei clandestini a un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Gli altri alleati, invece - An e Udc in testa - premevano per la linea morbida: contratto di un anno o di formazione biennale. La mediazione era stata tentata il giorno prima nell'ufficio del vicepremier, Fini, sotto la supervisione del «gran ciambellano» di Palazzo Chigi, il sottosegretario alla Presidenza, Letta. Ma il tentativo di riconciliare le parti si era risolta con un buco nell'acqua: due ore di riunione tra i ministri Maroni (Welfare), Buttiglione (Politiche comunitarie), Giovanardi (Rapporti con il Parlamento), e il sottosegretario agli Interni, Mantovano, erano servite solo ad acuire le divergenze. Al punto che Bossi, in una intervista pubblicata ieri mattina su «La Padania», organo di partito della Lega, assicurava che i suoi ministri non avrebbero firmato il decreto se non fosse passata la linea dura. «Il governo andrebbe avanti da solo - sottolineava - ma poi sarebbe costretto a spiegare perché fa le stesse cose dei no global di sinistra». Il ministro delle Riforme ha mantenuto lo stesso tono deciso fino a poco prima dell'inizio della riunione a Palazzo Chigi: «Ora andiamo a sistemare la questione», aveva detto nel suo solito stile ruvido e spiccio. Poi, però, qualcosa di storto deve essere andato per indurre la Lega ad abbandonare la posizione oltranzista, rivolta soprattutto contro «le bande dei democristiani e delle loro associazioni caritatevoli». Giovanardi, a fine seduta, non si è sbottonato. Sui rapporti tra il Carroccio e l'Udc ha solo detto: «Ci sono cose che coordinate con la legge hanno un senso». Più esplicito il collega Buttiglione che ha ammesso: «Abbiamo discusso, ci siamo accapigliati, ma alla fine abbiamo trovato una buona soluzione complessiva che riprende le linee della Bossi-Fini».
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