ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su La Stampa
(Sezione: Interni   Pag.    )
Sabato 22 giugno 2002

 

«PIÙ FERMEZZA CON CHI ASPIRA A ENTRARE NELL´UNIONE»

«Non siamo stati sconfitti»
Mantovano: il nostro rigore fa proseliti



ROMA SIVIGLIA rappresenta una sconfitta italiana sulla questione della polizia di frontiera comune e sulle politiche sanzionatorie nei confronti dei paesi d'origine dei clandestini? Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, non è d'accordo: «L'Italia non ne esce sconfitta, anzi vede confermata la linea che governo e maggioranza seguono da un anno».

Non può negare che Italia, Spagna e Inghilterra si sono presentate al vertice di Siviglia con una posizione più rigida nei confronti dei paesi che non collaborano nel contrasto all'immigrazione clandestina.
«La legge Fini-Bossi oggi all'esame finale del Senato non stabilisce - articoli 1 e 17 - l'automatismo tra comportamenti disinvolti dei paesi da cui vengono i clandestini e le sanzioni ma afferma che nei progetti di cooperazione e sviluppo l'Italia terrà conto del comportamento di tali paesi per quanto riguarda gli accordi di riammissione e di polizia e, naturalmente, l'impegno nel bloccare il flusso di clandestini. L'affermazione "tiene conto" non stabilisce un rapporto di causa ed effetto ma indica dei criteri per la valutazione dei comportamenti».

Sottosegretario, è d'accordo che a Siviglia l'Italia, la Spagna e l'Inghilterra erano per una linea più rigida?
«Certo, il nostro atteggiamento era più deciso ma a Siviglia il problema non ha riguardato le ipotetiche sanzioni ma far sì che i Quindici, complessivamente, adottassero una linea di maggiore serietà rispetto ai paesi di provenienza dei clandestini. E questa linea è stata adottata dal vertice di Siviglia. Vorrei che si facesse il confronto con la sensibilità a questi temi della Comunità Europea di non più di due anni fa. Allora, la questione immigrazione clandestina era considerata come un problema soltanto italiano, oggi mi pare che affrontare questo problema sia un problema di tutti. Non siamo più soli».

Anche sul freno alla polizia comune di frontiera, l'Italia non è stata sconfessata?
«Chi non ha seguito con attenzione questa vicenda si è fatto la convinzione che parlare di polizia comune di frontiera equivale a dire che si tratta della creazione di un unico corpo di polizia comune. Non è così. Lo studio di fattibilità presentato a Roma ai ministri degli Interni dei Quindici a fine maggio indica una prospettiva diversa: il coordinamento tra le polizie dei Quindici allargato, in prospettiva, alle polizie dei Dodici. L'esigenza di questo coordinamento nasce dalla necessità di colmare lacune nei sistemi di controllo delle frontiere».

A sentire le sue ragioni, quello di Siviglia è stato il vertice delle incomprensioni?
«Quando tutti parleremo la stessa lingua ci capiremo meglio. Leggendo con attenzione le conclusioni del vertice ci sono anche le basi per chiedere comportamenti più rigorosi a qualcuno dei Dodici candidati a entrare nella Comunità. In particolare, la Turchia, che ha fatto dei grossi passi in avanti negli ultimi mesi ma dalle cui coste continuano a muoversi imbarcazioni cariche di clandestini».

Perché, secondo lei, Francia e Svezia si sono pronunciate contro le proposte italiane?
«Premesso che non condivido la valutazione che vi sia stata una netta contrapposizione, probabilmente si tratta di approfondire con questi paesi la necessità di un atteggiamento realmente comune dell'Ue, che non sia la somma degli sforzi maggiori o minori dei singoli partner».

           

   

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