ALFREDO MANTOVANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO
MINISTERO DELL'INTERNO

 


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Articolo pubblicato su La Stampa Giovedì 30 maggio 2002


IL CONSIGLIERE DI CONFINDUSTRIA: «ORMAI I GIOVANI ITALIANI RITENGONO NON GRATIFICANTE LAVORARE IN FABBRICA»

Guidi: le aziende hanno bisogno di braccia
«L´industria non potrà sopravvivere se non avrà l´aiuto degli extracomunitari»



ROMA UN invito alla massima attenzione. «C´è bisogno di gente nelle aziende», avverte Guidalberto Guidi, consigliere della Confindustria per le relazioni industriali. Guidi parla dopo l´incontro alla Camera con il sottosegretario all´Interno Alfredo Mantovano centrato sul disegno di legge con le regole per l´immigrazione preparato dal vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini e dal ministro delle Riforme Umberto Bossi.

Dottor Guidi, le imprese dunque ricordano di volere più extracomunitari?
«Da Lampedusa alla Valle d´Aosta, se consideriamo anche l´agricoltura oltre che il settore produttivo, le imprese hanno l´esigenza di ricorrere agli immigrati. Avere collaboratori familiari provenienti dall´esterno dei confini europei consente poi alle donne di poter lavorare. La questione interessa pertanto tutta la popolazione italiana».

L´Italia ha ancora tanti disoccupati: può dire perché lei guarda agli immigrati?
«I nostri concittadini non sono più disposti a svolgere certi tipi di mestieri. Il saldo demografico è fortemente negativo. Molti giovani ritengono non gratificante lavorare in un´azienda».

Dimentica che una parte del paese ha la disoccupazione al 20%?
«No. Ma so che una piccola impresa con solo quattro torni non può aumentare la produzione in un certo momento creando uno stabilimento al Sud: deve avere un turno in più. E in Italia la mobilità è molto difficile. Magari fosse possibile far comunicare il bicchiere stracolmo delle aree prive di lavoratori con il bicchiere vuoto delle aree prive di lavoro».

E´ decisiva per le imprese la questione immigrati?
«La nostra industria non può sopravvivere se non ha l´aiuto degli extracomunitari. Mi permetta anche di dire che come imprenditori certamente abbiamo l´interesse a usufruire delle loro prestazioni, ma assumendoli favoriamo almeno un po´ di benessere in paesi ai margini. E´ un motivo di soddisfazione».

Cosa fare in concreto?
«Lo so di toccare argomenti difficili. Ci sono esigenze contrapposte ed è necessario cercare un punto di equilibrio fra l´arrivo degli immigrati e le aspettative dei cittadini per l´ordine e la sicurezza. Il problema non può essere affrontato con il manicheismo: o bianco o nero».

Lei allora è critico con il disegno di legge Fini-Bossi?
«L´idea iniziale del disegno di legge è corretta: entra nel nostro paese solo chi ha un lavoro alla luce del sole. Su questo la Confindustria è d´accordo. E´ però perplessa sul collegamento troppo stretto tra la perdita del lavoro e il diritto di restare».

Lei cosa ha in mente?
«Più flessibilità: è possibile prevedere un periodo di tempo per restare in Italia e cercare un´altra occupazione dopo averla persa. Ma mi sembra che nei lavori parlamentari questa esigenza sia già colta».

Avanza altre proposte?
«Si potrebbero prevedere incentivi fiscali per le aziende che costruiscono case per i dipendenti. E contratti di affitto collegati al mantenimento del posto. Inoltre, ma richiede tempo, è importante stringere rapporti con i paesi d´origine dei lavoratori per formarli e selezionarli. E non dimentichiamo i cambiamenti dell´economia».

A cosa si riferisce?
«L´industria comincia a manifestare l´esigenza anche di tecnici e ingegneri extracomunitari. Con la globalizzazione le imprese devono avere cittadini del mondo: persone che conoscano le lingue e abbiano attitudine di lavoro all´estero. Servono, per esempio, romeni laureati che sappiano muoversi in Romania oppure chi conosce il cinese».


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