ALFREDO
MANTOVANO SOTTOSEGRETARIO DI STATO MINISTERO DELL'INTERNO |
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Articolo pubblicato su IL TEMPO (Sezione: POLITICA Pag. ) |
Venerdì 6 Dicembre 2002 |
An domatrice dei leoni leghisti
Ignazio La Russa, presidente dei deputati di An, doveva farsi perdonare una frase pronunciata in concomitanza col referendum del 7 ottobre 2001, confermativo della riforma del titolo V della Costituzione, voluta dal centro-sinistra proprio allo scadere della legislatura, quando già si respirava un'aria (soprattutto dopo le regionali) di vittoria della Casa delle Libertà. La frase incriminata era: «Noi non voteremo così». Un autentico espediente (una mezza negazione), un vero escamotage «comunicazionale» per non riconoscere l'opposizione moscia e distratta del centro-destra di allora (doveva, secondo la base, fare le barricate contro il federalismo, per difendere l'unità nazionale) su un tema che oggi, viceversa, è diventato centrale. Al punto che martedì sera, a seguito delle frasi polemiche di Bossi nei confronti del capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, reo di aver proposto «un regionalismo solidale» e di aver ribadito il primato «della scuola nazionale su quella locale», si è rischiata la crisi di governo. Crisi evitata, grazie alla cena notturna (presenti il vicepremier Gianfranco Fini, Marco Follini e Rocco Buttiglione dell'Udc, e l'immancabile fido Gianni Letta) e grazie al mea culpa dell'ufficio stampa del Carroccio. E per riscattarsi Ignazio La Russa, dopo la lettera del «professor» Fini (alfiere dell'asse con Ciampi) agli studenti-parlamentari del partito, ha creduto opportuno (ovviamente su imbeccata del suo presidente) di convocare deputati e senatori per impartire la «lezione istituzionale» (sulla carta l'ha chiamata Forum): «Niente opposizione alla devolution, evitiamo la sindrome-Fisichella (e il no dei vari «eccellenti», da Gianni Alemanno, da Alessandra Mussolini, ad Alfredo Mantovano), ma lavoriamo dall'interno per migliorarla, specialmente quando la legge arriverà alla Camera». Il progetto di La Russa sono, appunto, i «Forum accademici» ciclici (la lezione ai parlamentari) per gestire la comunicazione su un argomento così scottante (lui stesso l'ha ammesso: «Rischiamo di bissare il disastro mediatico e politico dell'articolo 18») e la «valorizzazione strategica» del Dipartimento Autonomie Regionali, guidato dal vice presidente dei deputati, Carmelo Briguglio, che, guarda caso, sta lavorando con Francesco D'Onofrio, il ministro Giulio Tremonti, l'azzurro Aldo Brancher (dentro la succursale romana di «Officina», la camera di compensazione costituzionale che deve smussare le differenze nella Cdl) per il «federalismo tricolore». La sintesi, cioé, tra il presidenzialismo, dagli statuti regionali ancora in fieri, alla grande riforma dello Stato, e il federalismo «riveduto e corretto, cominciando a rivedere e correggere il vero male. Non la devolution bossiana, ma la riforma del Titolo V dell'Ulivo che prevede la "sovranità uguale" di Stato, Regioni, Comuni, Province e Città metropolitane». Un federalismo tricolore di destra «in omaggio al pensiero e alla esperienza politica di Rosmini, Gioberti e Minghetti». Citazioni dotte che il vice presidente del Senato, Domenico Fisichella, antipresidenzialista e antifederalista per il premierato e il regionalismo alla tedesca, ha subito smentito: «Il Gioberti del primo periodo, il federalista papista, o del secondo periodo, il federalista sabaudo?» L'impegno di Ignazio La Russa è riuscito a metà. Le due riunioni (il summit preparatorio dello scorso martedì e la riunione ufficiale di mercoledì, tenutesi presso la Sala Tatarella, al quinto piano dei gruppi) hanno visto la partecipazione di «pochi parlamentari, ma buoni», in testa al drappello: Mantovano, Bocchino, Briguglio, Valditara, Ronchi, Landolfi, etc. Un infortunio «quantitativo», un successo «ideologico». «An sarà - parole di Ignazio La Russa - il partito dei moral suasion, dei domatori di leoni». Dove leoni sta per leghisti e domatori (non cacciatori) sta per An. «L'importante - ha continuato il presidente dei deputati di An - è che Bossi non capisca che la devolution c'è già». Gliel'ha ricordato Briguglio: «Nelle cinque Regioni a statuto speciale... E non ha minato l'unità nazionale». Anzi.
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